Speciale per Africa Express
Franco Nofori
Torino, 28 novembre 2018
I fatti di cui i due giganti del settore petrolifero sono accusati, risalgono al 2011, ma solo lunedì scorso un dettagliato rapporto dell’organizzazione internazionale Global Witness, ha rivelato che, causa la corruttela che ha caratterizzato gli accordi tra le compagnie petrolifere e l’omonimo dicastero del Paese africano, il Tesoro di quest’ultimo è stato defraudato di ben sei miliardi di dollari, in pratica, più ancora della quota di profitto cui la Nigeria avrebbe avuto diritto, per aver concesso la licenza di estrazione del greggio nel proprio territorio.
Le indagini sul malaffare si erano concluse lo scorso anno, evidenziando che l’italiana Eni e l’anglo olandese Shell, avevano versato al governo nigeriano la somma complessiva di 1,3 miliardi di dollari per avere accesso alle esplorazioni nei suoi fondali marini, ma benché tale somma risultasse registrata a credito del governo nigeriano, la stessa era stata versata alla società Malabu Oil and Gas il cui proprietario era l’ex ministro petrolifero della Nigeria, Dan Etete e non un solo centesimo era finito nelle casse del Tesoro nazionale.
L’Eni e la Shell sono ora inquisite presso il tribunale di Milano per corruzione ai danni di un Paese emergente, con l’accusa di essere state a conoscenza del fatto che le somme da loro pagate, non avrebbero beneficiato la Nigeria, ma esclusivamente il suo corrotto ministro. Alla sbarra sono chiamate le più alte cariche delle due compagnie petrolifere, insieme ai loro funzionari che avevano condotto le trattative con l’infedele capo del dicastero nigeriano. Sia l’Eni, sia la Shell hanno però negato ogni addebito, rigettando le accuse e presentando tesi difensive che li vedrebbero del tutto estranee alle stesse.
In un’intervista rilasciata alla statunitense CNBC, un portavoce della Shell ha laconicamente riferito: “Poiché la questione è davanti al tribunale di Milano, non riteniamo al momento appropriato, rilasciare dichiarazioni, ma riconfermiamo che gli accordi tra noi, l’Eni e il governo federale nigeriano, sono state condotte in modo assolutamente corretto”. A questa voce si è aggiunta quella del vice-presidente della Shell, Frans Everts, che riferendosi al rapporto della Global Witness, ha detto: “Contestiamo le vostre conclusioni e i conseguenti addebiti a nostro carico. Il vostro rapporto si basa su metodologie superficiali che non tengono conto degli elementi oggettivi che hanno caratterizzato gli accordi con le autorità nigeriane”. Insomma, molte pompose parole per dire nulla.
Sulle stesse posizioni si è schierata l’Eni. “La Global Witness – ha detto un suo portavoce – non ha tenuto in alcun conto il ritorno del 50 per cento dello sfruttamento petrolifero in favore del governo nigeriano e basterebbe questo fatto per far definire del tutto infondata la loro analisi”. La replica della Global Witness non si è fatta attendere: “Abbiamo tenuto conto di tutto – afferma una loro nota –. Il fatto è che le dichiarazioni dell’Eni e della Shell appaiono futili. Che senso ha sostenere che hanno trattato con il governo nigeriano quando i soldi versati a fronte di tali accordi sono finiti sul conto di altri?”
Fino al momento in cui scriviamo, il governo nigeriano, non ha voluto rilasciare alcun commento circa le imputazioni promosse dalla giustizia italiana e questo atteggiamento rende ancora più inquietante lo scenario del tutto visto che il Paese, benché sia il maggior produttore di petrolio del continente africano, ha una popolazione che versa in condizioni di estrema povertà. Forse il ministro Etete non era – a livello governativo – il solo beneficiario del denaro sottratto alla cassa di stato? L’augurio è che il procedimento in atto riesca presto a dipanare la matassa, individuando ogni responsabilità in merito.
L’apertura del procedimento in corso presso il tribunale di Milano, si basa su indagini condotte da agenti dell’M16 britannico e dell’FBI americano. L’ex ministro nigeriano Dan Etete era già stato, inoltre, dichiarato colpevole da un tribunale francese per non aver saputo spiegare la provenienza del denaro da lui usato per l’acquisto, nel Paese transalpino, di un intero castello e di un lussuoso yacht, oltre ad essere stato trovato in possesso di una cassa contenente denaro contante in banconote da 100 dollari, il cui peso superava le cinque tonnellate.
Franco Nofori
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