Speciale per Africa ExPress
Cornelia I.Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 27 novembre 2018
Venerdì scorso, Emmanuel Macron, presidente francese ha annunciato: “La Francia restituirà ventisei opere a Cotonou” (la capitale della ex colonia francese è Porto Novo, ma la sede del governo è a Cotonou).
Era nell’aria da tempo, ma in Benin si attendeva con impazienza l’annuncio ufficiale. Già l’anno scorso Macron si era espresso con queste parole: “L’eridità culturale africana non deve rimanere prigioniera nei musei europei”. Un chiaro messaggio che qualcosa si stava muovendo.
Il presidente aveva formato un gruppo di esperti costituito dalla francese Bénédicte Savoy, specializzata in storia dell’arte e dallo scrittore senegalese Felwine Sarr, affidando loro il compito di esaminare le opere africane presenti nei musei del Paese. I due esperti hanno presentato le loro conclusioni venerdì scorso all’Eliseo.
Durante il periodo coloniale, il Benin è stato derubato di molti dei suoi tesori culturali. Nel 2016 il governo beninese aveva fatto una richiesta ufficiale per la restituzione delle preziose opere. Prima di allora nessuna ex-colonia dell’area sub sahariana aveva avanzato una tale rivendicazione.
Si tratta di oltre cinquemila pezzi, i più preziosi sono esposti nel museo Quai Branly, altri si trovano in diverse collezioni private. Sono per lo più di statue antropomorfe degli ultimi re di Abomey, dinastia che regnava nel Benin fino alla fine del XIX secolo, chiamato allora il regno di Dahomey. Anche altri pezzi, di immenso valore, come scettri, troni e porte sacre del palazzo reale sono stati saccheggiati dal generale Dodds, a capo delle truppe che hanno conquistato il Paese tra il 1892 e 1894.
Secondo alcuni esperti del settore, attualmente l’ottanta per cento del patrimonio artistico africano è fuori dal continente. Le collezioni pubbliche francesi raggruppano oltre novantamila oggetti dell’area sub-sahariana.
Un primo passo è stato fatto. Ora torneranno finalmente a casa almeno i primi ventisei pezzi delle preziose opere. Ma la restituzione del patrimonio artistico africano ha diviso gli ambienti artistici e intellettuali parigini: per alcuni si tratta di un avvenimento storico, per altri un’aberrazione. Il più critico è l’ex ministro della Cultura, Jean-Jacques Aillagon, che non apprezza la restituzione delle collezioni africane e difende con veemenza il carattere universale dei musei francesi.
Altri, invece, si interrogano sullo stato di conservazione delle opere una volta ritornati nei Paesi d’origine. Ma le autorità del Benin hanno assicurato che alcuni nuovi musei sono in corso d’opera e stanno per essere completati, altri musei già esistenti sono in fase di restauro. Attualmente la ex colonia francese dispone di sei musei nazionali, il più emblematico tra questi è il museo storico di Abomey, che dal 1985 è iscritto nella lista dei patrimoni dell’UNESCO. Il sito si estende su quarantottomila ettari e comprende diversi palazzi reali, ma necessita di urgenti restauri.
Nel 1685 Abomey, fondata dalla popolazione fon, è diventata la capitale del Dahomey, uno dei regni più importanti dell’Africa occidentale. Dal diciasettesimo fino al diciannovesimo secolo i dodici re che si sono susseguiti fino al 1900, hanno fatto costruire palazzi, realizzati in materiale tradizionale. Anticamente la città era circondata anche da un muro costruito di fango.
Non bisogna dimenticare che i fon sono stati anche grande commercianti di uomini; la ricchezza e il potere di Abomey era dovuta sopratutto alla tratta degli schiavi che praticavano in cambio di armi. Infatti Dahomey sorge proprio sul luogo tristemente chiamato “Costa degli Schiavi”.
Nel 1892 la città è stata parzialmente distrutta da un terribile incendio, appiccato da Behanzin, l’ultimo sovrano del regno, prima di cedere la città ai francesi. Behanzin era stato incoronato nel 1800 anno che coincide con l’espansione coloniale francese nel Dahomey. Per contrastare l’invasore, il re aveva formato un esercito di venticinquemila uomini e truppe speciali, composte da cinquemila donne, le Amazzoni. Erano intoccabili e vergini giurate. Si identificavano con il nome di “N’Nonmiton”, tradotto in italiano “nostre madri”. Erano armate di moschetto olandese e di machete e decapitavano velocemente le loro vittime. Venivano reclutate ancora bambine, tra gli otto-nove anni. Se un francese tentava di avvicinare una delle amazzoni, il giorno dopo lo si trovava morto nel suo letto.
Cornelia I. Toelgyes
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