Sandro Pintus
Firenze, 27 novembre 2018
Il terrorismo jihadista nel nord del Mozambico continua a uccidere nei villaggi isolati. Giovedì scorso, 22 novembre, un ennesimo attacco del gruppo, che i mozambicani chiamano al Shebab, ha seminato morte e distruzione in un villaggio di Cabo Delgado, nell’estremo nord dell’ex colonia portoghese.
Uomini armati di machete, durante la notte, sono entrati a Chicuaia Velha, nel distretto di Nangade, a pochi km dal confine con la Tanzania, e hanno massacrato almeno dodici persone a colpi di machete e coltelli.
A coloro che non aprivano la porta i terroristi hanno incendiato la casa distruggendo una quarantina di abitazioni dentro le quali ci sono stati morti e feriti. Alcuni testimoni hanno raccontato ai media locali che, tra le vittime, la maggior parte sono donne e bambini.
Al momento dell’attacco il villaggio non aveva alcuna protezione delle forze di sicurezza mozambicane. Fonti locali raccontano anche di un altro attacco jihadista, sempre con il machete, il giorno precedente: erano state uccise due persone che lavoravano nei campi.
Gli attacchi jihadisti a Cabo Delgado sono iniziati nell’ottobre 2017 con l’assalto a due posti di polizia. Sono continuati poi a villaggi indifesi causando oltre un centinaio morti, molti dei quali decapitati.
Nell’ultimo mese, secondo il giornale online Club of Mozambique, ci sono stati tre attacchi attribuiti ad al Shebab, con venti morti e una cinquantina di case distrutte.
La zona degli ultimi brutali attacchi jihadisti è al centro di un’area strategica per il Mozambico. A un centinaio di chilometri a est c’è il complesso industriale offshore di Palma, dove si trova il più grande giacimento di gas naturale del Paese e vi operano ENI/ExxonMobil e la texana Anadarko.
Dalla parte opposta, 150km a ovest, c’è la una delle Niassa Hunting area mentre a circa trecento km a sud del distretto di Nangade è situato il più grande giacimento di rubini del mondo.
Nel maggio scorso, nella capitale Maputo, è stata presentata un’indagine sull’estremismo islamico in Mozambico di João Pereira e Salvador Forquilha dell’Università di Maputo con il leader religioso islamico Saide Habibe.
Lo studio ha rivelato che parte dei fondi delle cellule eversive jihadiste che operano a Cabo Delgado provengono da contrabbando di avorio, rubini e legno pregiato.
Questo business, soprattutto dell’avorio, è sotto il controllo di élite tanzaniane, somale e keniote in collegamento con imprenditori cinesi e vietnamiti dei quali le autorità mozambicane non riescono a individuare le tracce.
Sandro Pintus
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