Franco Nofori
Mombasa, 23 novembre 2018
Da sempre il Kenya ha come moneta di riferimento il dollaro americano per verificare la salute della propria valuta, ma oggi questa verifica presenta risultati allarmanti. Lo scellino, che pareva essersi consolidato al cambio di un dollaro per 100,9 scellini, il 15 novembre scorso è salito a 103,5 presentando un trend che, a detta degli analisti finanziari, fa ritenere che entro la fine dell’anno in corso potrebbe superare la soglia dei 105. Ad aggravare questo andamento, c’è anche il giudizio del Fondo Monetario Internazionale (IMF), secondo cui lo scellino sarebbe sopravvalutato di un buon 17,5 per cento rispetto al valore reale.
Nei confronti dello scellino e benché mantenga una certa debolezza verso il dollaro, cresce anche l’euro che il 20 novembre scorso, si attestava sul cambio di 117,17 scellini per un euro. E’ di tutta evidenza che questa situazione non può risolversi con i continui interventi della Banca Centrale che, tra l’altro, hanno il peso di un granello di sabbia nel deserto, ma necessitano di radicali interventi sulla strutture produttiva e finanziaria. Le procedure export, causa la corruzione e le complessità bizantine, sono tali da scoraggiare qualsiasi imprenditore che provi ad avventurarvisi, mentre la supervalutazione dello scellino – non determinata da un reale riscontro economico, ma da fittizie determinazioni effettuate nel palazzo – mortifica fortemente l’export soprattutto verso i Paesi confinanti.
Fatte queste considerazioni, verrebbe da domandarsi, perché il Kenya non decide di svalutare lo scellino, dando così un robusto impulso alle proprie esportazioni. La risposta è semplice: dato l’alto indebitamento contratto dal governo verso l’estero, una svalutazione dello scellino farebbe spendere molto di più per acquistare la valuta estera necessaria a pagare le rate, visto che nessuno dei creditori accetterebbe mai lo scellino quale moneta per il pagamento del dovuto. Quindi, si mantiene alto il valore dello scellino per non far aumentare il valore del debito, benché questo sistema affligga la competitività dei prodotti da esportare. Insomma; è come svuotare una tasca dai soldi che contiene per metterli nell’altra.
Il giusto intervento per sanare questa perversa patologia, sarebbe stato quello di limitare il debito verso l’estero, come tutti gli organismi finanziari internazionali avevano caldamente esortato a fare. Lo si poteva fare, semplicemente rinunciando – o quantomeno posticipando – la realizzazione dei progetti infrastrutturali più costosi e non di immediata necessità, ma il governo si è pervicacemente mostrato sordo a questi appelli, cosa che legittima il sospetto che tali appalti siano serviti a portare acqua al mulino dei pochi privilegiati che hanno la fortuna di sedere nel palazzo e poco si curano di chi vi è rimasto fuori.
Franco Nofori
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