Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 20 novembre 2018
Da diversi mesi i paramilitari di Rapid Support Force, gli ex janjaweed a servizio del governo del Sudan, noti per la loro ferocia, terrorizzano giovani e giovanissimi. Chi ha un taglio di capelli “poco ortodosso” viene fermato in strada e con la forza viene rasato a zero in pochi istanti. Generalmente gli RSF prendono di mira ragazzi che imitano la capigliatura di calciatori africani famosi nel mondo.
Questi fatti sono accaduti in diverse parti del Paese, anche in alcuni quartieri della stessa capitale Khartoum.
Gli attivisti in difesa dei diritti umani hanno criticato energicamente “la rasatura forzata” su social media; alcuni hanno persino parlato di “atto di un terrorismo”, altri di “violazione della dignità umana”. E persino il capo della polizia della capitale, Ibrahim Osman, ha respinto ogni coinvolgimento dei suoi uomini in questa “campagna di rasatura dei capelli”, anzi, ha invitato i cittadini, vittime di questi atti, a denunciare subito tutto alla più vicina stazione di polizia.
Ma questi fatti erano già successi in precedenza. In agosto uomini delle forze paramilitari hanno rasato i capelli agli studenti delle scuole secondarie di Mellit, nel Nord Darfur. I residenti, terrorizzati, allora avevano chiamato questo scempio “campagna di rasatura”.
Nell’ottobre 2017 la stessa sorte è toccata ad una ragazzina del clan Mahameed, il cui leader è l’ex janjaweed Musa Hilal, arrestato un anno fa, perché critico con il governo di Khartoum.
A dicembre dello scorso anno decine di giovani e studenti sono stati rasati a zero nel Northern State del Paese, accusati di avere un taglio di cappelli non appropriato.
Molti dei membri di RSF facevano parte dei famigerati janjaweed, diventati famosi per le atrocità commesse in Darfur: i “diavoli a cavallo” (come li chiamava la popolazione civile) bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi. Un ex leader dei janjaweed, Mohamed Hamdan Dagl, (detto Hametti), è ora comandante delle RSF, incaricati del controllo dei confini, a caccia di migranti, ma i paramilitari sono anche attivi nella guerra in Yemen. Il Sudan, infatti, fa parte della coalizione capeggiata dai sauditi.
Inoltre sono ancora molto attivi nel Darfur, dove proprio in questi giorni truppe dell’esercito e paramilitari degli RSF hanno attaccato il mercato che si svolge settimanalmente a Deribat (East Jebel Marra, Sud Darfur). Durante la loro incursione sono state uccise cinque persone, molti altri sono stati feriti. Testimoni oculari hanno raccontato che gli ex janjaweed avrebbero picchiato violentemente sia clienti che venditori, di cui hanno razziato le loro merci.
Si mormora che si sia trattato di una rappresaglia nei confronti dei civili dopo un’imboscata di miliziani di Sudan Liberation Movement (SLM-AW), tesa qualche giorno prima a truppe dell’esercito e gli RSF, durante la quale sarebbero morti diciassette soldati. Una vettura dei paramilitari sarebbe stata distrutta.
Nella prima parte degli anni Duemila la guerra del Darfur, scoppiata nel 2003, è stata sulle pagine di tutti i giornali e l’ONU ha inviato anche gruppi di investigatori che hanno confermato il carattere omicida delle milizie accusate di genocidio. Lo stesso presidente sudanese, Omar Al Bashir, salito al potere con un colpo di Stato il 30 giugno 1989, è stato incriminato dalla Corte Penale Internazionale per genocidio e crimini contro l’umanità. Contro di lui è stato spiccato un mandato di cattura.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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