Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
Milano, 6 novembre 2018
Un morso per uno alla Grande Mela non fa male a nessuno, anzi fa bene a tutti e due. Centomila dollari a testa: all’etiope Lelisa Desisa, ventotto anni, e alla keniota Mary Jepkosgei Keitany, trentasei.
Il primo, domenica scorsa 4 novembre, ha vinto per la prima volta nella sua carriera podistica la 48° edizione della Maratona di New York:
La seconda ha dominato la stessa gara (al femminile) per la quarta volta!
Lelisa Desisa era giunto secondo nel 2014, terzo nel 2015 e nel 2017. Era conosciuto per essere stato il primo etiope a conquistare la maratona di Boston nel 2015 e soprattutto nel 2013, quando un attentato dopo corsa uccise tre spettatori e ne ferì duecentosessantaquattro.
Mary Keitany, dopo il terzo posto nel 2010, aveva dominato la Tcs New York City Marathon (questa la denominazione ufficiale), nel 2014, 2015 e 2016 e nel 2017 si era piazzata alle spalle della vincitrice americana Shalane Flanagan.
Lelisa Desisa domenica ha ottenuto il secondo miglior tempo della corsa fermando i cronometri su 2 ore 05:59
Mary Keitany, sempre domenica, è stata la seconda donna più veloce di sempre con 2 ore, 22 minuti e 48 secondi.
Lelisa e Mary, un uomo e una donna dell’Africa povera e dei sacrifici, due vite parallele e un incrocio di destini avvenuto sia in Kenya sia in una delle manifestazioni più seguite del globo: alla maratona di New York hanno preso parte oltre cinquantamila atleti, fra professionisti e amatori, compresi tremilacentocinquantasette italiani, i più numerosi davanti a Francia (2520), Gran Bretagna (2030) e Germania (1513) mentre la marea statunitense era ovviamente esorbitante (37684).
Lelisa Desisa è nato in un villaggio dello stato regionale Oromia (Etiopia Centrale) e ha cominciato a correre – come molti grandi maratoneti africani – per frequentare la scuola rurale, un’ora di distanza da casa. Dopo un po’, però, ha mollato i libri ai compagni e ha allungato il percorso per andare e tornare a casa. Poi sporadicamente ha iniziato a partecipare a competizioni podistiche e ogni volta vinceva; quindi è entrato nel giro delle corse regionali e vinceva pure lì: In conclusione: si trasferì ad Addis Abeba dove la preparazione fu adeguata e nel 2009 prese il volo a livello internazionale con la vittoria sui 10 mila metri nella categoria junior con un tempo di tutto rispetto (28:46.74).
Desisa è di casa in Kenya, perchè si allena seguendo la pista e i consigli del recordman maratoneta Eliud Kipchoge ( di cui abbiamo parlato su questo sito). Con Eliud e con l’eritreo Zersenay Tadese è stato coinvolto nell’esperimento sportivo scientifico denominato Nike’s Breaking2 effettuato nel 2017 a Monza e mirante a correre la maratona sotto le 2 ore. Non un caso, ma dalla zona di nascita di Desisa provengono altri celeberrimi maratoneti, quali i fratelli Tarika e Kenenisa Bekele, le tre sorelle Dibaba e gli olimpionici Fatuma Roba e Tiki Gelana. Quella zona è divenuta così famosa da meritare l’onore di un documentario inglese che narra la vicenda di due sorelle disposte a ogni sacrificio per diventare campioni di atletica e guadagnare in un anno quello che forse potrebbero ottenere in una vita (forse).
Lelisa Desisa è molto amato dagli americani (e non solo) perché dopo la vittoria del 2013 a Boston donò al Comune della capitale del Massachusetts la medaglia d’oro conquistata, in segno di rispetto verso le vittime. Un gesto toccante che non è stato dimenticato.
Mary Jepkosgey Keitany, ultima di 4 figli, ha visto la luce in un misero e sperduto villaggio su una collina, chiamato Makilani, nell’area di Kiplombe della Contea di Baringo, celebre per due ragioni: ha dato i natali a Daniel Arap Moi, secondo presidente del Kenya dal 1978 al 2002 e ospita due grande ricchezze naturalistiche, il lago di Baringo e il Parco Nazionale di Nakuru. Mary da piccola curava le capre e ogni giorno faceva due chilometri a piedi per prendere l’acqua: “Eravamo talmente poveri che non ci potevamo permette un asino”, ha ricordato ridendo poco tempo fa. Poi per andare a scuola di chilometri prese a percorrerne 10 al giorno Un allenamento non voluto che confermò già da adolescente come fosse nata per correre. “Correva come il vento, batteva tutti, non si arrendeva mai e non… sudava”, hanno raccontato al Daily Nation il maestro Rono e l’uomo che la ha scoperta, Samwel e che le ha comprato il primo paio di scarpe. Il suo primo alloro internazionale lo colse a Udine e da allora Mary ha un legame particolare con l’Italia: il suo successo è legato senza dubbio alla guida del manager trentino Gianni Demadonna e ai tecnici Renato Canova e Gabriele Nicola. Mary, infatti, fa parte della Demadonna Athletic Promotions (DAP srl) che conta molti dei migliori atleti del fondo e mezzofondo mondiale.
Mary è amata e rispettata da tutti sia perché aiuta i giovani poveri come è stata lei sia perché non ha anteposto la carriera alla vita: sposata con un altro corridore, Charles Koech, nel 2008 e nel 2013 si è ritirata dalle competizioni per mettere su famiglia. Ha messo mondo due meravigliose creatura, Jared (giugno 2008) e Samantha (aprile 2013).
La “presa” di New York da parte dell’Africa, però, non sarebbe completa se non ricordassimo che il secondo e il terzo posto nella maratona maschile sono stati occupati da un altro etiope, Shura Kitata Tola, venidue anni, e da un altro keniota, Geoffrey Kamworor, venticinque, il grande sconfitto in quanto era indicato come probabile vincitore per aver… divorato la Grande Mela lo scorso anno. Una citazione la merita, infine, il keniota naturalizzato americano, Bernard Lagat: a 43 anni ha voluto esordire nella maratone, si è classificato diciottesimo con un tempo non male (2 ore, 17 minuti e 20 secondi)
Quanto alle donne, dietro mamma Mary, lo scricciolo divenuto leggenda, si è piazzata una sua rivale e conterranea, sia pure a 4 minuti di distanza, Vivian Jepkemoi Cheruiyot, trentacinque anni.
E’ stato scritto che “in Atletica il mondo del fondo si divide in due categorie: keniani ed etiopi”. Forse non è più così, dato che sono emersi anche altri Paesi del Continente nero. Ma la maratona di New York sembra confermare il vecchio detto
Costantino Muscau
muskost@gmail.com