Franco Nofori
Mombasa, 4 novembre 2018
Un recente rapporto della Banca Mondiale, stima che nell’Africa sub-sahariana – quella comunemente definita “Africa nera” – vi siano circa 500 milioni di persone che non risultano censite e neppure possiedono un atto di nascita. Si tratterebbe quindi di abitanti fantasma che, per le competenti autorità governative, è come se non esistessero.
Questo dato appare alquanto stupefacente, poiché i rilievi effettuati dall’ONU, per l’anno 2006, stimavano che l’Africa sub-sahariana contasse 800 milioni di abitanti, i quali, in forza dell’incremento demografico medio del 2,3 per cento, avrebbero raggiunto nel 2050 il numero di 1,5 miliardi. Non è chiaro se questi dati comprendono i 500 milioni che la Banca Mondiale denuncia come “fantasma”, o se questi 500 milioni vadano aggiunti a quelli stimati dall’ONU, ma si tratta in ogni caso di cifre sbalorditive che mostrano quanto poco controllo i governi africani, riescano a esercitare sulla consistenza anagrafica dei propri popoli.
In quasi tutti i paesi dell’area in questione, non esiste un sistema atto ad appurare il numero di abitanti per area geografica, attraverso una regolare registrazione alla nascita. Molto spesso, questa nascita, non è neppure denunciata, soprattutto, quando la paternità appare incerta. Questo fa sì che, specialmente nelle aree rurali, centinaia di migliaia di persone vivano in incognito, del tutto prive d’istruzione e di documenti che certifichino la loro esistenza: atti di nascita, carte d’identità, tessere sanitarie e quant’altro necessario per essere considerati membri della società cui appartengono. Ne consegue che tutte queste persone, si arrabatteranno al meglio per sopravvivere, agendo più spesso nell’illegalità e ritenendosi protetti dal fatto che – almeno ufficialmente – non esistono.
Ma anche laddove la dichiarazione di nascita sia regolarmente effettuata, questa non consentirà comunque di conoscere il luogo di residenza dove, in caso di necessità, il cittadino potrà essere rintracciato. Di lui, si saprà solo che è nato in un certo giorno, in un certo villaggio, ma se commettesse un crimine e volesse sottrarsi alla giustizia, gli basterà trasferirsi in una zona lontana da quella d’origine per far completamente perdere le proprie tracce. Questa situazione, se facilita la possibilità per i malintenzionati di rifugiarsi nell’anonimato, è spesso risultata utile anche a influenti uomini politici nell’attuare strategie per giungere al potere.
Uno dei più eclatanti utilizzi di questa strategia, fu quello che nel 1992 parve consentire al presidente del Kenya, Daniel Arap Moi, di conservare il potere. In quell’anno il Paese era finalmente riuscito – dopo quasi trent’anni d’indiscusso dominio di Moi – ad approdare a un sistema multipartitico e Moi si trovava quindi costretto a confrontarsi con nuovi avversari, per riuscire a essere riconfermato nella carica. Proprio causa l’assenza di uffici anagrafici locali, i cittadini, per essere ammessi al diritto di voto, dovevano registrarsi, entro una certa data, presso le circoscrizioni elettorali delle zone in cui si trovavano, senza alcun riferimento al loro luogo d’origine.
Avvenne così che molte persone originarie delle zone dell’interno (kikuyu, luo, kamba, ecc.) che erano emigrate in gran numero nelle località costiere, si registrarono presso le circoscrizioni lì presenti per poter votare, ma appena scaduto il termine fissato per registrarsi, come un fulmine a ciel sereno, esplose nei loro confronti l’inattesa violenza delle popolazioni autoctone, in prevalenza rappresentate dall’etnia mijikenda. Le abitazioni degli “stranieri” furono incendiate e distrutte; molti di loro furono picchiati e uccisi. Fu quindi fatale che, per proteggere la propria incolumità molti di questi “stranieri” fuggissero dalla costa per rifugiarsi nella loro terra d’origine, così alla data prevista per il voto, si trovarono in zone in cui non si erano registrati e non poterono quindi votare.
Il risultato fu che il presidente Moi ottenne un altro mandato e benché non emergessero mai prove certe che lui avesse avuto a che fare con i disordini scoppiati sulla costa, la coincidenza delle violenze per l’occasione elettorale, aggiunta al fatto che l’etnia mijikenda è da sempre ritenuta un’etnia pacifica e scarsamente guerriera, ha avvalorato l’opinione di molti osservatori (tra cui quella dell’allora ambasciatore americano in Kenya, Smith Hempstone) che si fosse trattato di una strategia scientemente attuata per assicurare a Moi il mantenimento del potere.
Franco Nofori
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