Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 1°novembre 2018
Da lunedì scorso è in atto un’efferata campagna contro gli omosessuali in Tanzania. Paul Makonda, governatore di Dar Es Salaam, la capitale economica del Paese, ha chiesto ai cittadini di denunciare tutti gli omosessuali e ha promesso che a partire della prossima settimana saranno effettuati i primi arresti.
Makonda, membro del partito al potere, il Chama Cha Mapinduzi (CCM) e molto vicino al presidente John Magufuli – anche lui ben noto per la sua ostilità nei confronti di gay e lesbiche – ha dato per certo che in tutta la provincia vivono molti omosessuali e ha precisato: “Si vantano persino della loro omosessualità sui social network”.
Il governatore ha già formato un team ad hoc per dare la caccia a chi ha abitudini sessuali condannate dalle leggi. La squadra è composto da diciasette membri tra funzionari di Tanzania Communications Authority, poliziotti e esperti di comunicazione; dovranno spulciare gli account dei social network per identificare tutti coloro impegnati in una relazione con persone delle stesso sesso. Secondo Makonda, l’omosessualità calpesterebbe i valori morali dei tanzaniani, dei cristiani e musulmani, le due religioni maggiormente praticate nell’ex protettorato britannico. L’amico di Magufuli mette in conto eventuali critiche da parte di alcuni Stati stranieri per l’applicazione di queste leggi draconiane, ma preferisce essere giudicato dagli uomini piuttosto che offendere Dio.
Saranno censiti non solo gli omosessuali, ma anche coloro che hanno foto osé nei propri cellulari, perchè anche la pornografia è punita severamente. Makonda ha avvisato tutti cittadini di rimuovere quanto prima istantanee “indecenti” dai propri smartphone.
L’omosessualità in Tanzania è considerata un grave reato ed è punibile da trent’anni di galera fino all’ergastolo. La società non accetta gay e lesbiche, che quindi sono costretti a vivere in clandestinità. Fino a qualche anno fa le autorità tanzaniane erano più tolleranti rispetto ad altri Paesi africani e ignoravano praticamente le comunità gay. La politica è cambiata nel 2015, dopo l’elezione dell’attuale presidente, che nel giugno 2017 aveva persino affermato: “Persino le vacche deplorano l’omosessualità”. Il giorno dopo il governo aveva minacciato di espulsione tutti gli stranieri che promuovono campagne in favore di gay e lesbiche. In ottobre le minacce si sono tradotte in fatti con il rimpatrio forzato di tre sudafricani, accusati di aver incoraggiato matrimoni tra persone dello stesso sesso.
Già nel febbraio dello stesso anno le autorità competenti avevano chiuso quaranta centri di salute privati che garantivano servizi nel settore dell’infezione HIV – AIDS, con l’accusa di aiutare gli omosessuali.
A settembre 2017 il viceministro della Salute aveva chiesto in Parlamento di combattere l’omosessualità e i gruppi che la sostengono con tutte le forze. Inoltre, da luglio 2016 è vietata l’importazione e la vendita di lubrificanti sessuali, che, sempre secondo il ministro della Sanità, incoraggerebbero l’omosessualità, che a sua volta sarebbe fonte di infezione da HIV/AIDS.
E a Zanzibar, l’isola della Tanzania con una status di semi autonomia, abitata per lo più da cittadini di fede islamica, sono state persino arrestate venti persone, sospettate di essere omosessuali. Nell’autunno dello scorso anno le forze dell’ordine avevano fatto irruzione nell’albergo dove questo gruppo di persone seguiva un corso di prevenzione contro l’infezione da HIV / AIDS, tenuto da un’organizzazione non governativa.
Molti Paesi africani, in particolare le ex colonie britanniche, che puniscono gli omosessuali, sono ancora condizionati da una morale di derivazione vittoriana, ovvero inglese.
In trentotto Paesi africani l’omosessualità è considerata un crimine. In alcuni di essi come Mauritania, Sudan e Somalia è punibile con la pena di morte, grazie all’applicazione della sharia.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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