Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 30 ottobre 2018
Recentemente sono morti ventisette bambini di ebola, tutti al di sotto dei dieci anni. L’epidemia della febbre emorragica, che ha colpito le province Nord-Kivu e Ituri, continua mietere vittime; domenica scorsa il ministero della Sanità di Kinshasa ha segnalato sei nuovi decessi in soli due giorni. Dal 1° agosto ad oggi la situazione nel Congo-K è la seguente:
Persone contagiate: Duecentosettantaquattro (239 casi confermati, 35 sospetti)
Decessi: centosettanta
In particolare a Beni, nella provincia del Nord-Kivu, molti bambini avrebbero contratto l’ebola nelle “cliniche” tradizionali dei guaritori, mentre erano in cura per la malaria. Purtroppo questi centri non rispettano le norme di igiene imposte dalle autorità. Secondo quanto riportato, utilizzerebbero gli stessi dispositivi e strumenti sanitari per tutti malati, così che i piccoli pazienti, subito dopo la terapia antimalarica, si sono ammalati di febbre emorragica e sono morti pochi giorni dopo. Queste pratiche ovviamente aggravano la situazione in quest’area, considerata ormai l’epicentro della malattia.
Il virus si espande ed è difficile arrestare la sua corsa. Ciò è dovuto a diversi fattori: la presenza nella zona di gruppi armati che causano lo spostamento continuo della popolazione, l’ostruzionismo di alcune comunità, le aggressioni che subiscono gli operatori sanitari da parte dei familiari dei morti.
Ieri sono state uccise nuovamente sei persone, altre due sono state sequestrate a Mangboko, villaggio poco lontano da Beni. Secondo quanto riportato da alcuni testimoni oculari, miliziani del gruppo armato Alliance of Democratic Forces (organizzazione islamista terrorista ugandese, operativa anche nel Congo-K dal 1995) avrebbero ucciso tre donne e tre uomini, dopo aver incendiato e saccheggiato parecchie case e un deposito di olio.
Secondo Mike Ryan, un assistente del direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è la prima volta che si affronta un’epidemia di ebola in una zona di conflitto. E ha aggiunto: “Il Nord- Kivu è uno delle zone più pericolose del Congo, le forze di sicurezza devono affrontare quasi quotidianamente attacchi da diversi gruppi armati attivi nella provincia”.
La settimana scorsa il team di Ryan ha dovuto interrompere temporaneamente l’attività a Beni, dopo l’uccisione di quindici persone. Un fatto simile si era già verificato il mese scorso e ogni volta che viene sospeso il monitoraggio, aumentano i malati.
Per combattere l’ebola bisogna circoscrivere il contagio e per questo è necessario abbattere barriere culturali che fanno ostruzionismo contro, per esempio, la sepoltura corretta dei cadaveri, la registrazione degli ammalati, l’autorizzazione a seguire attentamente chi è venuto in contatto con la malattia.
Ebola è un microrganismo dalla famiglia dei filovirus. A sua volta il virus è suddiviso in quattro sottotipi che prendono in nome dalla zona dove sono stati identificati la prima volta: Zaire, Sudan, Costa d’Avorio e Reston. L’incubazione della malattia è di 7-10 giorni, poi esplode con febbre acuta, cefalea, mialgia, stato di progressiva spossatezza, associata ad esantema, shock e manifestazioni emorragiche cutanee e mucose.
Più il virus si moltiplica, più attacca gli organi interni che vengono distrutti e praticamente disintegrati. Intervengono vomito inarrestabile, rosso e nero, diarrea rossa e delirio totale. Il viso e il corpo si coprono di macchie scarlatte purulente (anche Edgard Allan Poe, ma con la fantasia, nel suo racconto “La maschera della morte rossa”, aveva descritto una malattia simile). Alla fine tutti gli organi esplodono e l’ammalato muore tra indicibili sofferenze.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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