Dalla Nostra Corrispondente
Blessing Akele
Benin City (Nigeria), 25 ottobre 2018
Era il maggio del 2014 quando l’ex Presidente Goodluck Jonathan, del PDP, il Peoples Democratic Party, riconosceva la sconfitta elettorale – contrariamente alla volontà dei maggiorenti del suo partito, che non volevano cedere il potere politico – e si congratulava con il candidato presidenziale rivale dell’All Progressives Congress (APC), Mohammadu Buhari. Consentiva così una pacifica transizione del potere nel Paese africano demograficamente più popoloso (circa160 milioni di abitanti) e che rappresenta la seconda economia del continente dopo il Sud Africa.
I nuovi eletti dell’APC, a seguito di elezioni libere e imparziali – secondo gli osservatori dell’Unione Europea (all’epoca la Gran Bretagna non aveva ancora chiesto di uscire dall’organizzazione) – hanno promesso immediatamente di voler cambiare in meglio la vita dei nigeriani.
Le promesse di trasformazione sbandierate in campagna elettorale dall’APC nel 2014, hanno fatto presa su una parte esigua della popolazione. La stragrande maggioranza è da un lato analfabeta e dall’altro religiosamente devota e rassegnata, per cui si affida soltanto a dio, nelle sue varie accezioni, Gesù Cristo o Allah Mohammed. Ai politici questo stato di cose piace assai e nessuno pensa minimamente di cambiarlo. Anzi, per essere votati da quella piccola parte della popolazione che si mette in fila davanti ai seggi nei giorni dello scrutinio, i candidati a sud si affidano ai pastori e ai preti delle varie Chiese, e a nord agli imam e ai marabù delle varie moschee.
Non bisogna essere in Nigeria per comprendere che quella votazione del 2014 (comprese le sue promesse elettorali) è stata una farsa. L’ennesima che si consuma dal 1960, l’anno dell’indipendenza dalla dominazione britannica. Non c’è bisogno di essere in Nigeria per capire che la fiducia è stata mal riposta e ha generato effetti sociali devastanti, a cominciare dall’emigrazione massiccia e continua dei giovani, donne uomini.
SANITA’ PRIVATA
Gli effetti del malgoverno e del totale disinteresse per il benessere sociale è di evidenza cristallina e grida se non vendetta, certo aiuto disperato. Il miglioramento dello stato sociale che l’attuale classe dirigente ha promesso non si è avverato. Non ci sono investimenti rilevanti nei settori primari e strategici (agricoltura, istruzione, energia, sanità, industrie di trasformazione dei prodotti agricoli e così via), che si tradurrebbero in opportunità di lavoro per quella massa di persone costretta a lasciare il Paese ogni anno di più.
Il governo ha attuato provvedimenti che hanno giovato e soddisfatto la comunità internazionale. Valga per tutti l’incremento del prezzo della benzina pochi mesi dopo l’insediamento del governo di Mohammadu Buhari. Il suo governo ha abolito il sussidio petrolifero con la scusa di eliminare la corruzione incontrollabile nel settore petrolifero. Se non che, così facendo, ha provocato l’aumentato del costo della vita, acuendo lo stato di povertà già dilagante. Sono schizzati i prezzi di tutte le merci (compresi alimentari e medicinali) e i costi di tutti i servizi (luce, gas, telefono, trasporto, tasse scolastiche e universitarie, servizi ospedalieri). La Nigeria è un Paese in cui un sistema sanitario pubblico sarebbe assolutamente urgente, utile e necessario. Invece il modello è quello degli Stati Uniti. Cioè la sanità è totalmente privata.
La Nigeria è il nono produttore del petrolio al mondo eppure sul suo territorio non ha una raffineria. Vende la materia prima alle società multinazionali di tutto il mondo e poi compra il prodotto finito da chi ha raffinato il greggio. Questo, ufficialmente il motivo dell’abolizione del sussidio: le raffinerie straniere sostengono alti costi per la raffinazione e bisogna pagare di più il prodotto finito. Ma non si spiega perché i governi precedenti e, soprattutto questo governo del cambiamento non hanno mai proceduto a riabilitare le raffinerie interne. La risposta è semplice: non conviene agli interessi economici degli amici stranieri.
BOKO HARAM
Più o meno quattro anni fa circa il presidente eletto e tutta la compagine governativa giuravano che avrebbero distrutto il gruppo terroristico di Boko Haram attivo nel nord-est del Paese in poco tempo. Dopo appena un anno e qualche mese di governo il Presidente Buhari assicurava che l’esercito nigeriano stava ottenendo decisivi successi nella lotta al terrorismo. Due anni dopo il governo annunciava che i militari stavano sconfiggendo il jihadisti in tutto il Paese.
Il 27 dicembre 2017, un comunicato del governo sostanzialmente suonava così: fermi tutti, abbiamo scherzato finora, il gruppo di terrore è ancora vivo e vegeto. Abbiamo bisogno di un miliardo di dollari per combatterlo. Occorre inserire la voce di spesa nel documento economico finanziario per l’anno 2018.
E nel Excess Crude Account, ECA, il Ministero delle Finanze indicava in 2.3 miliardi di dollari quale credito disponibile a dicembre 2017. Il presidente Buhari in persona ha confermato in televisione che i terroristi sono vivi e vegeti e attivi più che mai e i combattimenti sono ancora in corso. Il presidente ha poi annunciato che occorre un miliardo per assistere le centinaia di migliaia di sfollati. Ma la realtà è un’altra: serve denaro per le elezioni 2019: è necessario e urgente perché i meccanismi elettorali vanno unti a dovere.
Per completare il copione drammatico (che presenta pure risvolti tragici: in Nigeria c’è ancora oggi chi muore di stenti e di fame), a fine luglio 2018, il primo ministero britannico, Theresa May, si è recata nell’ex colonia. Una toccata e fuga (la sua permanenza non ha raggiunto le 24 ore), per un incontro tecnico economico con il presidente Buhari e i leader del Parlamento e del Senato, rispettivamente, Dogara e Saraki.
SLOGAN
Di cosa hanno discusso? Di come aiutarli a casa loro? No, questo è solo uno slogan. Simili propositi i politici stranieri li fanno per il pubblico locale in Inghilterra come in Italia. Quando arrivano in Nigeria, e in genere in Africa, discutono di affari, cioè intese commerciali: petrolio, gas ed armi. E così è stato anche stavolta con Theresa May.
Naturalmente sono stati toccati anche altri settori come l’import-export di generi alimentari, di veicoli nuovi ed usati e la questione dei dazi doganali. Nelle intese raggiunte non poteva mancare un accordo per combattere i terroristi di Boko Haram: Londra metterà a disposizione unità speciali dell’esercito di Sua Maestà, esperti in materia di contrasto delle organizzazioni terroristiche (Daesh, ISIS, Talebani, Al Qaeda). Il programma è quello di formare i militari nigeriani per meglio combattere il terrorismo.
Inoltre un’attenzione è stata rivolta anche all’aspetto umanitario. Sono stati raggiunti accordi per programmi di assistenza ai profughi del nord-est, in maggioranza donne, vecchi e bambini.
CAMBIAMENTO? NO GRAZIE!
I nigeriani, a questo punto, hanno visto tutto e continuato a subire fin ad oggi. E non hanno dubbi sul significato del cambiamento proposto quattro anni fa da Mohammad Buhari e dal suo partito APC: i cittadini volevano il cambiamento? L’ hanno avuto: in peggio, però.
L’anno prossimo si terranno le elezioni politiche e la lotta di potere all’interno del partito del presidente Buhari, APC è già in atto. Il PDP si è indebolito e ora la Nigeria sembra una democrazia a partito unico, dove l’attuale presidente non intende fare mezzo passo indietro. Ciò vuol dire che, come al solito, non prevarrà la volontà dei nigeriani.
Chi vincerà sarà colui che si sarà recato a trattare a Chatham House (un circolo di think-thank a Londra), alla Casa Bianca e a Bruxelles. A dettare legge non sono i nigeriani ma i loro amici stranieri. A scegliere i governanti non sono i nigeriani ma gli extra-nigeriani. Ad essere invasi culturalmente ed economicamente sono i nigeriani, ma non da oggi, da sempre. I nigeriani sono mantenuti in uno stato d’incapacità di intendere e di volere (ricordiamo il combinato disposto dell’analfabetismo e della religione), non potranno mai riscattarsi né emanciparsi a casa loro.
Blessing Akele
blessing.akele@yahoo.com
Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 17 novembre 2024 Continua in Mozambico il braccio di…
Dal nostro Inviato Speciale Massimo A. Alberizzi Nairobi, 15 novembre L’ambasciatrice americana in Kenya, la…
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 14 novembre 2024 L'amministratore delegato e due dirigenti…
Africa ExPress Nairobi, 15 novembre 2024 Africa ExPress è una stella piccola nell’universo dei quotidiani…
Speciale per Africa ExPress Antonio Mazzeo 13, Novembre 2024 Fincantieri SpA, il gruppo leader della…
EDITORIALE Dalla Nostra Inviata Speciale Federica Iezzi di ritorno da Dayr al-Balah (Striscia di Gaza),…