Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 12 ottobre 2018
Benchè siano ormai trascorsi ventisei anni dai fatti, nessuno in Kenya ha dimenticato lo scandalo “Goldenberg”, nome che, grazie a una curiosa commistione tra la lingua inglese e quella tedesca, sta per “montagna d’oro” ed erano appunto l’oro e i diamanti all’origine della gigantesca truffa che costò ai contribuenti del Kenya la strepitosa somma di oltre 450 milioni di euro. Perché lo scandalo? Perché quell’oro e quei diamanti, almeno nella quantità dichiarata da Kamlesh Pattni, allora titolare della società Goldneberg, non esistevano e neppure erano stati esportati a società estere come l’astuto faccendiere pretendeva di aver fatto.
Gli scandali, volti a saccheggiare il denaro pubblico, in Kenya sono all’ordine del giorno, ma nel caso della Goldenberg International, l’effetto sulla pubblica opinione fu clamoroso perché, durante il regno dell’allora presidente Daniel Arap Moi, era la prima volta che ben venti preminenti personalità politiche del Paese vi erano coinvolte, tra queste, anche l’allora ministro del tesoro, George Saitoti (oggi scomparso) e due figli dello stesso presidente in carica. A tutte queste persone, in un futile sfoggio di muscolatura istituzionale, furono sequestrati i passaporti e imposto il divieto di lasciare il Paese, fino al completamento delle investigazioni che consentissero di pervenire alle rispettive imputazioni.
Naturalmente, nessun uomo politico o alto funzionario pubblico, fu mai condannato. Neppure quando Moi fu sostituito al potere dal nuovo presidente, democraticamente eletto, Mwai Kibaki, ma per placare l’ira della pubblica opinione, la funzione di capro espiatorio fu “stoicamente” assunta dal titolare della Gondelberg International, Kamlesh Pattni che per sedici mesi fu rinchiuso alla Kamiti prison, il carcere di massima sicurezza della capitale, ma ormai lo stratosferico frutto del saccheggio perpetrato era al sicuro e tutti gli attori, compreso lo stesso Pattni, ne avevano beneficiato, così l’abile trafficone di origine indiana, fu prosciolto da ogni accusa e rimesso in libertà con tante scuse e la sentita riconoscenza di tutti i potenti complici che l’avevano aiutato nell’esecuzione della truffa (guarda il video).
https://www.youtube.com/watch?v=5tnk_tU2vmg
Durante la carcerazione, Pattni fu “toccato” – come lui stesso ebbe a dichiarare – dal richiamo del “vero Dio” e abbandonato il credo induista, si convertì al cristianesimo. Fu battezzato, assunse il nome Cristiano di Paul e appena libero, divenne un Pastore battista. Fondò subito la propria chiesa che, grazie alla notorietà conquistata nei suoi recenti trascorsi, si riempì presto di fedeli. Un altro lucroso colpo messo abilmente a segno dall’eclettico intrallazzatore. Un’amara constatazione si rende però inevitabile, nei confronti dell’ingenuità popolare che, da vittima, decide di trasformarsi in sostenitrice proprio della sinistra figura che l’aveva così pesantemente derubata.
Nel 1989, ancor prima che esplodesse lo scandalo Gondelberg, il super attivo Kamlesh Pattni, aveva già concluso un redditizio accordo con la KAA (Kenya Airport Autority) che gli affidava la totale gestione dei duty free shop presenti presso i due aeroporti internazionali di Nairobi e Mombasa, gestione che veniva condotta dalla sua società World Duty Free Company Limited (WDF) appositamente costituita. La KAA, tuttavia, non riconobbe mai questo esclusivo diritto di Pattni sulla gestione dei duty free e nel tempo fornì altre concessioni a terzi, cosa che diede origine a una lunga battaglia giudiziaria tra le WDF e la KAA, battaglia che, nel 2012 si concluse con una sentenza a favore di Pattni la quale condannava l’autorità aeroportuale a risarcire la WDF di ben 73 milioni di euro per il pregiudizio arrecato.
Contro questa sentenza la KAA fece ricorso, fino a che, martedì scorso, presso l’Alta Corte di Nairobi, la precedente sentenza è stata definitivamente annullata con la motivazione che la concessione del 1989, a favore della WDF, era stata ottenuta attraverso la corruzione di pubblici funzionari ed era quindi illegittima. La KAA non è pertanto tenuta a pagare la somma reclamata da Pattni e si riserva, anzi, di procedere nei suoi confronti per ogni danno prodotto dalla sua pretesa risarcitoria. Insomma la genialità dell’acclamato pastore-faccendiere, questa volta è stata sconfitta, ma lo sarà per molto? E quando il Kenya si deciderà a svelare l’arcano di questi fantomatici funzionari corrotti che vengono sempre genericamente accusati, ma non risultano mai individuati e meno che mai puniti?
Franco Nofori
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