Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 12 ottobre 2018
Un cittadino congolese e due burundesi, collaboratori della ONG International Rescue Comittee, sono stati arrestati mercoledì scorso a Muyinga, nell’est del Burundi, per aver violato le nuove norme entrate in vigore il 1°ottobbre 2018, concernenti le Organizzazioni non Governative straniere.
Gli arresti sono stati confermati da fonti diplomatiche e amministrative. IRC, una delle più importanti ONG attive nel Burundi, non ha voluto rilasciare commenti.
A fine settembre il Consiglio Nazionale per la Sicurezza del Burundi ha decretato la sospensione di tutte le attività delle ONG straniere operative nel Paese per la durata di tre mesi, per permettere alle istituzioni incaricate di verificare se le ONG stanno operando in conformità con la legge e le norme vigenti.
La nuova legge, promulgata nel gennaio del 2017, è volta a controllare le finanze, i costi di gestione e le quote etniche degli impiegati locali (ossia sessanta per cento huti, 40 per cento tutsi come nella pubblica amministrazione) delle ONG straniere. Fonti diplomatiche occidentali hanno espresso preoccupazione perchè le organizzazioni internazionali potrebbero decidere di andarsene a causa delle nuove norme. Sarebbe gravissimo, visto che la maggior parte degli aiuti dell’Unione Europea confluiscono nel Paese grazie al loro operato.
Pascal Barandagiye, ministro degli Interni burundese, ha fatto sapere che le ONG straniere potranno riprendere servizio non appena firmeranno e depositeranno quattro documenti redatti dalle autorità di Bujumbura: con questi atti dichiareranno di depositare presso la Banca Centrale, su un conto aperto, un terzo del loro budget. Il ministro ha minacciato la radiazione definitiva delle organizzazioni straniere che non si metteranno in regola entro i tre mesi previsti. Finora solamente quattro associazioni su centotrenta sarebbero in regola, ha precisato Barandagiye.
In poche parole il regime di Bujumbura vuole avere un diretto controllo su tutte le attività delle ONG, che sono ovviamente reticenti nel voler firmare i documenti richiesti, in particolare quelli riguardanti le loro finanze e le quote etniche degli impiegati locali. Il regime intende proseguire sulla linea dura, vuole far rispettare le proprie decisioni, lo dimostrano gli arresti effettuati due giorni fa.
La crisi in Burundi inizia nella primavera del 2015, quando il presidente, forzando la Costituzione ha voluto farsi eleggere per la terza volta alla massima carica dello Stato. In quel periodo sono morte almeno milleduecento persone, altre quattrocentomila sono scappate dalle loro case.
In un rapporto pubblicato a settembre dalla commissione d’inchiesta dell’ONU, gli esperti hanno segnalato gravi violazioni dei diritti umani, alcuni dei quali costituiscono addirittura crimini contro l’umanità, perpetrati anche nel 2017 e 2018. Il Palazzo di vetro punta il dito direttamente su Nkurunziza, accusandolo di “frequenti incitamenti all’odio e alla violenza”. Nella sua relazione la commissione ha evidenziato un clima di palesi minacce ai diritti umani e un’impunità diffusa e questo grazie alle autorità, tra loro appunto anche il presidente, esponenti di Il Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia – Forze per la Difesa della Democrazia (CNDD-FDD), il partito al potere.
Cornelia I. Toelgyes
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