Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 29 settembre 2018
Si allarga a macchia d’olio l’inchiesta nell’ambito di un’ indagine sulla scomparsa di quindici miliardi di dollari liberiani (l’equivalente di ottantatremila euro). Alle quindici persone indagate già una settimana fa, si sono aggiunte altre ventitré. Il denaro introvabile al momento attuale, era stato stampato all’estero e destinato alla Banca centrale di Monrovia, la capitale della Liberia.
Le banconote sarebbero arrivate nel Paese tra novembre 2017 – allora il presidente in carica era ancora Ellen Johnson Sirleaf – e agosto 2018, ma nella banca non sono state trovate tracce del malloppo.
All’inizio di agosto il nuovo governo ha aperto un’inchiesta e Musa F. Dean, ministro della Giustizia, ha fatto sapere che l’amministrazione di George Weah non era stata informata dell’arrivo dei contanti.
I media locali, invece, hanno riportato che banconote fresche di zecca sarebbero giunte via nave nel mese di marzo e prese in consegna al porto Monrovia da personale della Banca centrale, dove però non sarebbero mai arrivate.
Attualmente sono indagate ben trentotto persone, per lo più impiegati della Banca centrale, tra loro anche il figlio della ex presidente, Charles Sirleaf, vice governatore, e Milton Weeks, ex governatore dell’istituto finanziario pubblico, e George Abi Jaoudi, uomo d’affari libanese, molto vicino alla Sirleaf. A tutti è stato vietato di lasciare il Paese ed è stata richiesta loro la massima collaborazione nell’inchiesta sull’importazione del denaro. In un comunicato il ministero dell’Informazione ha sottolineato che si tratta di questioni riguardanti la sicurezza nazionale.
Mentre il ministero di Giustizia ha fatto sapere di aver richiesto anche la collaborazione del ministero del Tesoro degli Stati Uniti d’America, dell’ FBI e del Fondo Monetario Internazionale. Dunque un’inchiesta a trecentosessanta gradi per capire quanto denaro sia stato stampato effettivamente e quanti biglietti siano stati importati nel Paese.
Da oltre un anno la svalutazione della moneta locale rende quasi impossibile per la maggior parte della popolazione l’acquisto di merce importata. Per questo motivo George Weah, presidente eletto nel dicembre dello scorso anno, per ridurre la galoppante inflazione, ha ridotto le tasse sull’importazione per oltre duemila prodotti di prima necessità.
Weah, che ha dominato la scena calcistica mondiale per anni e che nel 1999 è stato scelto dalla International Federation of Football History & Statistics , come calciatore africano del secolo, pochi giorni fa ha promulgato una legge sulla riforma riguardante la proprietà terriera, definita “storica” e il cui testo prevede maggiori diritti alle comunità locali sulle terre non private e inoltre, per la prima volta nella storia della Liberia, offre anche agli stranieri la possibilità di diventare proprietari terrieri.
Una riforma importante per questo Paese, che conta poco più di 4,6 milioni di abitanti, dei quali oltre il cinquanta per cento è costituito da minorenni. La Liberia è uno degli Stati più poveri del Continente con un’entrata pro capite annua di soli 455,37 dollari.
La riforma, volta a trasformare il diritto consuetudinario in diritto di proprietà a tutti gli effetti, prevede anche la possibilità a società e organizzazioni straniere di possedere terre in Liberia. In base al testo di legge, le comunità locali potranno far valere i loro diritti anche grazie a testimonianze, mappe, accordi con comunità confinanti e altri documenti. Entro due anni sarà preparato un catasto nazionale dei terreni comunitari e solo il dieci per cento del suolo di una comunità sarà considerato di domino pubblico e potrà essere dato in concessione a società private. La nuova legge dà ampio potere alle popolazioni locali per definire l’utilizzo del suolo a fini agro-pastorali o per la conservazione della natura. Inoltre, i contadini che dimostreranno di avere lavorato per almeno quindici anni appezzamenti di terra ne diventeranno proprietari.
E per la prima volta anche gli stranieri, organizzazioni non governative, missionari potranno possedere prorietà terriere purchè vengano utilizzate per lo scopo per le quali sono state concesse. In caso contrario ritorneranno al vecchio proprietario.
In passato, secondo la Costituzione, solamente i neri – “people of colour” – potevano acquisire la cittadinanza liberiana e solo chi era in possesso di questo requisito poteva possedere proprietà. Lo scorso gennaio Weah ha annunciato la cancellazione delle clausole sulla proprietà, perché antiquate e inappropriate nel ventunesimo secolo. Ha promesso anche l’abolizione della clausola razzista secondo cui solo chi ha la pelle nera può diventare cittadino liberiano.
La questione delle terre ha creato molti contrasti in passato tra l’elite dei discendenti degli schiavi affrancati americani-liberiani, che detenevano i titoli di proprietà della terra, e i contadini. La popolazione è scossa ancora oggi, non si è ancora ripresa dalla sanguinosa guerra civile durata ben quattordici anni e dalla terribile epidemia di ebola del 2014-2015.
Nel dicembre del 1989 il National Patriotic Front of Liberia (NPFL), capeggiato da Charles Taylor, comincia una rivolta nel nord del Paese e ben presto prende il controllo di quasi tutto il territorio, eccetto della capitale Monrovia. Alla guerra civile partecipano sette fazioni rivali; termina con gli accordi pace nel 1997. Nelle elezioni che seguono, Taylor viene eletto presidente. Nel 1999 ricominciano i disordini, ma Taylor prede il controllo della situazione. Nel 2003 altra guerra civile che termina con la fuga del presidente in Nigeria. Si stima che in questi quattordici anni siano morte almeno duecentocinquantamila persone, mentre centinaia di migliaia hanno dovuto lasciare le proprie case e fuggire.
Nel 2012 Charles Taylor viene condannato dalla Corte penale internazionale per ben undici capi di accusa relativi ai crimini di guerra. Attualmente sta scontando una pena di cinquant’anni in una prigione della Gran Bretagna.
La storia della Liberia rappresenta un caso unico nel panorama africano. Lo Stato nacque infatti per iniziativa di un gruppo di schiavi affrancati che tornarono in Africa dagli Stati Uniti d’America, finanziati nel loro avventuroso viaggio da un gruppo di aziende private. La capitale del Paese si chiama per questo motivo Monrovia, in onore del presidente James Monroe, che liberò moltissimi schiavi, ed anche la bandiera rievoca quella americana nelle forme e nei colori.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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