Costantino Muscau
Milano, 22 settembre 2018
La Rift Valley, dopo Lucy, ci ha dato anche un alieno. Un extraterrestre per l’Atletica esiste. E’ quello che, domenica 16 settembre, con ventimila passi nella quarantacinquesima maratona di Berlino, ha sfiorato il limite dell’umano: ha vinto la gara dei 42 chilometri e 195 metri in 2h 1′ 39″.
Ben 1 minuto e 18 secondi in meno rispetto al precedente record. Si è trattato del più grande miglioramento nella maratona mondiale dal 1967. Un tempo che si avvicina a quello che sembra (sembrava) un confine quasi invalicabile di questa distanza disumana: scendere sotto i 2 minuti.
Questo atleta, (super-atleta?), uomo, (superuomo?) si chiama Eliud Kipchoge. Ha scarpinato a una media di 20.83 km/h quando ha varcato trionfalmente la porta di Brandeburgo e si è avvicinato con falcate sicure, elastiche, eleganti, alle Colonne d’Ercole della sua specialità. “Equivale – ha scritto la Gazzetta dello Sport – a correre centocinque volte i 400 metri in 1’09” 2 senza pause”. Per la verità, nel maggio 2017, correndo nella pista di Monza per un progetto noto come “Nike Breaking2” fece registrare un sensazionale 2h 00′ 25′, ma non venne omologato. Nel 2015 sempre a Berlino aveva trionfato, ma aveva mancato il record a causa di un incidente senza precedenti (ne abbiamo parlato in un recente articolo): corse la maratona con le solette delle scarpe penzolanti. I sottopiedi erano stati quasi completamente espulsi. Eppure segnò i cronometri su un tempo stratosferico; 2 h,04’,01”..…
Stavolta, invece, ha calzato un paio di scarpette rosse in fibre di carbonio create per l’occasione (si possono acquistare per la modica cifra di cinquecento euro!) e anche grazie a esse ha segnato un giorno storico per l’Atletica. Aiutato lungo il percorso da una serie di pacemaker (o lepri, in gergo sportivo) “polverizzando il vecchio record del mondo della maratona, Kipchoge ha confermato di essere uno dei più grandi di sempre. Una leggenda”, è stato detto e scritto. E dopo una tale impresa – ha fatto notare Seat Ingle sul Guardian – buona parte dei comuni mortali sarebbe stramazzata sulla linea del traguardo.. Invece Kipchoge ha avuto ancora l’energia di saltare sulle braccia del suo allenatore e mentore”.
UN CAMPIONE ANNUNCIATO
Già nel 2003, a diciotto anni, a Parigi si laureò campione del mondo dei 5000 metri; è olimpionico in carica dei 42 km e negli ultimi cinque anni su undici maratone ne ha dominate dieci. Come segno del destino e per farsi beffe dei razzisti vecchi e nuovi, questo fenomeno viene dalla terra dove sono apparsi gli antenati della moderna specie umana. Eliud è, infatti, un africano che più vero non si può, un kenyota puro di 33 anni: è nato il 5 novembre 1984 a Kapsisiywa, un villaggio della contea Nandi, nella Rift Valley dove tiene casa, moglie e tre figli. Con i quali vive, però, solo il sabato e la domenica. Dal lunedì al venerdì si allena nel celebre centro di allenamento “Global Sport” di Kaptagat, a quaranta chilometri di distanza da Eldoret, assieme a un gruppo di atleti riuniti nell’associazione più forte di campioni mai vista al mondo, la “NN Running Team”. Pur essendo ormai ricco, molto ricco, non disdegna, quotidianamente, di prelevare l’acqua dal pozzo del centro di allenamento, di servire i compagni, che pure lo chiamano il boss, o il “marathon maestro”, e di pulire i cessi, quando è il suo turno. Conduce una vita monacale, diremmo noi in Europa. Rinuncia ai comfort della casa e alle gioie della famiglia, per dormire in un sito spartano, basico e per allenarsi fra i duemilacinquecento e i tremilamila metri di altezza lungo sentieri sterrati, polverosi, o fangosi.
A Kaptagat, Eliud è considerato il “padre” dai compagni di allenamento, che non sono certo delle scartine. Ne citiamo solo due: Geoffrey Kamworor, ventisei anni, campione mondiale di cross e della mezza maratona, al quale Eliud ha regalato un paio delle sue scarpe; Abel Kirui, trentasei anni, due volte campione mondiale della maratona (2009 e 2011) e vincitore della specialità a Chicago nel 2016 . “E’ fondamentale avere a fianco persone come loro, sono una grande motivazione; non puoi raggiungere grandi obiettivi se ti prepari da solo. Sono contento che seguano le mie orme e se posso insegnare loro qualche cosa”, è il commento di Kipchoge, che, paziente, modesto, umile, voce bassa, non ha mai dato l’idea di essere un superman. L’apparenza, però, non deve ingannare: ha una volontà di ferro, una determinazione inscalfibile.
Basta dare un’occhiata ai titoli dei libri che legge senza sosta: da Aristotele, alle biografie degli sportivi, a manuali con tematiche manageriali e di crescita personale. Uno è “Who Moved My Cheese” (in italiano tradotto “Chi ha spostato il mio formaggio?” Cambiare se stessi in un mondo che cambia, in azienda, a casa, e la vita di tutti i giorni”, di Spencer Johnson. Il suo preferito è , però, “The seven habits of higly effective people” (tradotto in italiano “Le sette regole per avere successo” , di Stephen R. Covey. “Di ogni libro che legge prende appunti”, ha scritto sul New York Time , Scott Cacciola, che ha intervistato Eliud proprio alla vigilia della performance di Berlino, “perché quando scrivi, ricordi” è stata la spiegazione del corridore.
Ultimo di 4 figli, orfano di padre, mamma insegnante, Eliud ha cominciato a correre scalzo fin da bambino per andare a scuola. E, finite le scuole, ha aiutato la famiglia andando a prendere il latte dai vicini per venderlo al mercato. Alto 1 metro e 67, peso di cinquantadue chili, sembra nato per correre con – dice l’esperto Giorgio Rondelli – un rapporto peso potenza ottimale per un maratoneta. La sua fortuna, tuttavia, è stata incontrare un vicino di casa, Patrick Sang, l’uomo che ha abbracciato dopo il traguardo di Berlino. “Per me è molto di più di un allenatore. – dice di lui Kipchoge – E’ un mentore, un padre spirituale. Mi ha sempre detto di pensare di essere il migliore e mi ha insegnato la filosofia dell’allenamento e della programmazione, ma soprattutto la morale della vita. Come vivere sereno e non andare fuori…pista. La costanza nell’allenamento e nella disciplina sono alla base di tutto. Senza di lui la mia esistenza avrebbe preso una piega ben diversa”.
Patrick Sang ha cinquantaquattro anni, è stato specialista di livello olimpico e mondiale nei tremilamila siepi, prima di specializzarsi come trainer (anche con un corso nell’Università del Texas) e di dedicarsi a organizzare eventi sportivi proprio nel villaggio natale di Kapsisiywa. Qui nel 2001 incontrò il sedicenne Eilud, che continuava a chiedergli un adeguato programma di allenamenti. “Ogni due settimane, per mesi – ha ricordato Sang in diverse interviste – gli ho indicato il programma da seguire, alla fine partecipò a una gara regionale, vinse e chiesi il suo nome. Con mia grande sorpresa scoprii che era figlio di quella che era stata la mia maestra!” Sang regalò a Eliud il suo orologio, dato che il ragazzo non ne possedeva uno, e da allora i due sono stati inseparabili. Apprendista e maestro, aspirante campione e allenatore, figlio e padre. Quel padre che Kipchoge aveva conosciuto solo in fotografia.
Patrick Sang in una recente lunga intervista con Cathal Dennehy dell’Iaaf (l’associazione internazionale delle federazioni di atletica) ha parlato dei suoi metodi di allenamento e del ruolo dell’allenatore. Vi risparmiamo le sue considerazioni, a parte queste: “Il coach deve essere a tutto campo, deve essere un medico, una genitore, soprattutto con tutti questi atleti che hanno origini umili, molti vengono dalla povertà e che dopo una grande vittoria sono sempre sull’orlo di deragliare. Il denaro può sviare, è un pericolo. Anche chi è dotato atleticamente, se non è preparato e protetto nell’affrontare la società e non ha un forte carattere può essere rovinato dal successo e dal benessere. Il mio compito è dare una mano a questi giovani che hanno passione e vederli crescere”.
Eliud Kipchoge sembra aver imparato a tenere i piedi ben saldi sulla terra. Solido fisicamente e mentalmente, è pronto a varcare le Colonne d’Ercole della sua specialità. Il pericolo può essere un altro, come sottilmente ha scritto il Guardian: “Di fronte al record di Berlino ci saranno degli scettici, considerato i problemi di doping riscontrati in Kenya. Tuttavia sospetti di doping non hanno mai neppure sfiorato né Kipchoge nè il suo allenatore. Sono considerati limpidi e onesti nel mondo dell’Atletica”..
Costantino Muscau
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