Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 18 settembre 2018
Il primo ministro etiopico, Abiy Ahmed e Isaias Afeworki, presidente dell’Eritrea, si sono incontrati nuovamente domenica scorsa a Jeddah, in Arabia Saudita, dove, in presenza di Salman bin Abdulaziz Al Saud, monarca del regno wahabita, del principe ereditario, Mohammed bin Salman e del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, hanno siglato un secondo trattato di pace. Finora non sono stati resi noti i dettagli del nuovo accordo. Non è dato sapere se siano state apportate delle modifiche rispetto al primo, firmato all’inizio di luglio di quest’anno.
L’abbraccio tra Isaias Afeworki e Abiy Ahmed dell’8 luglio scorso aveva fatto il giro del mondo, aveva commosso tutti, dopo una guerra che sembrava infinita, cominciata nel maggio 1998 per questioni di confini a Badme, un villaggio in mezzo a una grande pietraia, senza alcuna importanza strategica, ma con un grande significato simbolico.
Nonostante la propaganda per anni abbia sostenuto il contrario, sono stati gli eritrei ad aver attaccato l’Etiopia a suo tempo. Il conflitto termina ufficialmente con il trattato di Algeri nel 2000 che, prevedeva tra l’altro la creazione di due commissioni neutrali all’Aja: la Commissione Reclami Etiopia-Eritrea e quella per la delimitazione dei confini. Entrambi gli Stati avevano promesso che avrebbero accettato senza indugio le decisioni del collegio. La sentenza finale sostiene che Badme debba essere ceduta ad Asmara, mentre gli eritrei, dal canto loro, devono rinunciare ad altri territori in favore di Addis Ababa.
Il governo etiopico, malgrado le assicurazioni date in precedenza, non ha mai accettato le condizioni poste dalle Commissioni e dunque le scaramucce di confine – che in ogni momento avrebbero potuto riaccendere una vera e propria guerra – si sono protratte fino a poco più di due mesi fa.
L’accordo di pace siglato a luglio prevede:
Per quanto concerne il risarcimento che l’Eritrea avrebbe dovuto versare all’Etiopia, Addis Ababa ha inviato una richiesta ufficiale all’ONU affinchè tale sanzione venga revocata.
La cerimenonia di Jeddah ha lasciato tutti un pochino perplessi e molti si sono chiesti della necessità di siglare un altro accordo nel giro di poco tempo. E perchè proprio in Arabia Saudita. In base ai fatti che si sono susseguiti in poco più di due mesi, cioè dalla firma del primo accordo, possiamo azzardare solamente supposizioni su eventuali integrazioni, in quanto non sono stati resi pubblici i dettagli di questo secondo trattato di pace. Potrebbe riguardare una cooperazione con porti di Massawa e Assab, visto che l’Etiopia non ha sbocchi sul mare. Anche se in passato le autorità di Addis Abbaba hanno siglato accordi con Gibuti e con il Somaliland (porto di Berbera nel golfo di Aden) gli scali marini eritrei sono molto più vicini al nord dell’Etiopia.
Il nuovo contratto di pace potrebbe includere la costruzione dell’oledotto che collegherà il porto di Assab con la capitale etiopica. Un’intesa per la costruzione della condotta di petrolio è stato firmata poche settimane fa tra il ministro emiratino per la Cooperazione internazionale, Reem Al Hashimy e il premier Abiy ad Addis Ababa.
Totale apertura dei confini tra Eritrea ed Etiopia. Lo scorso 11 settempre, in occasione del capodanno etiopico è stato riaperto il valico di Bure al confine tra i due Paesi alla presenza di entrambi i leader. Questo valico garantirà all’Etiopia accesso al porto di Assab. Alla cerimonia, oltre ad Abyi ed Isais, ha partecipato la popolazione locale e rappresentanti militari di entrambi i Paesi.
Durante questi ultimi due mesi Isais ha incontrato più volte i massimi esponenti dell’Arabia Saudita, per rafforzare i rapporti bilaterali, compreso l’invio di altre truppe eritree nello Yemen, per combattere accanto alla coalizione capeggiata, appunto da Riad. Già da tempo gli Emirati Arabi Uniti, grazie alla loro base ad Assab, fanno partire offensive anche dall’ex colonia italiana.
E’ risaputo che l’economia del regime di Isaias è in ginocchio. Una società militarizzata come quella eritrea, non produce nulla, solo schiavi. Non esistono dati ufficiali relativi alla popolazione e al PIL del Paese. Sin dall’indipendenza il governo non ha mai pubblicato il proprio budget e quando questo veniva richiesto da altri Stati o enti internazionali, veniva improvvisato. E, diciamoci la verità, come si può fare una programmazione concreta, senza conoscere il numero dei propri abitanti?
Tutto il sistema finanziario è sotto stretto controllo dello Stato. L’attività con l’estero delle tre banche commerciali del Paese è limitata, i loro standard non sempre risultanop in linea con quelli richiesti a livello internaionale. Il settore privato è quasi inesistente, salvo sporadici permessi occasionali. Le licenze di import-export vengono gestite dalla Red Sea Corporation, di proprietà dell’unica formazione politica autorizzata, il Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia. L’ultima assemblea generale del partito risale al 1994, mentre il Parlamento si è riunito l’ultima volta nel 2002.
La pace con il nemico di sempre è fatta, ma all’interno, finora, non è cambiato proprio nulla. I giovani, che tanto speravano in un futuro diverso, sono ancora costretti al servizio militare / civile.
I partiti dell’opposizione non sono ancora stati riconosciuti, la legge elettorale – preparata da Mahmoud Ahmed Sharifo, poi sbattuto in galera – è chiusa in un cassetto da ormai decenni, per non parlare dei diritti umani che in questo Paese bisogna cercare con una lente di ingrandimento.
Oggi ricorre l’annviversario della grande repressione. All’alba del 18 settembre 2001 il dittatore fa arrestare le prime sedici persone. Non erano persone qualunque, ma ministri, ex ministri, giornalisti, veterani della rivoluzione, colpevoli solo di aver inviato una lettera/manifesto al presidente chiedendo maggiore democrazia e di implementare la Costituzione. Da quel giorno di molti di loro non si hanno più avuto notizie. Esteri Haile Woldensaie, detto Duro, ex ministro degli Esteri, negoziatore eritreo per il trattato di Algeri, è morto all’inizio di quest’anno, cieco e gravemente malato giaceva in carcere appunto dal 2001 e gli altri?
Un giorno o l’altro nella ex colonia italiana qualosa dovrà cambiare, ma intanto i giovani continuano a scappare, perchè repressi da questo regime: oltre al setvizio militare/civile, un’imposizione a vita, non esiste la libertà di culto e nemmeno la libertà di movimento all’interno del Paese. Arresti e sparizioni extra giudiziali non tendono a placarsi. La polizia segreta è ancora libera di agire, di presentarsi nelle case a qualsiasi ora del giorno e della notte per arrestare le persone senza alcun mandato, come è successo ieri mattina all’ex ministro dell’Economia, Berhane Abrehe, che recentemente ha pubblicato un libro con aspre critiche al dittatore.
Isaias, come è già successo nel 2014, ha promesso l’applicazione della Costituzione. Ma intanto il dittatore è ancora al potere e ultimamente durante le apparizioni ufficiali è spesso accompagnato dal figlio maggiore, Abraham Isaias.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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