Costantino Muscau
Milano, 17 settembre 2018
La ridiscesa in campo a cinquantuno anni contro la Nigeria con la maglia della sua nazionale e con una rotonda pancetta da onorevole, anzi da capo dello Stato qual è, ha suscitato interrogativi non solo metaforici su uno dei calciatori più famosi dell’Africa e del Milan.
Intendiamoci: il ritorno, l’11 settembre, sul terreno di gioco con la fascia di capitano e con quelle scarpette ai piedi che aveva appeso al chiodo quindici anni fa, è stato un successone. Mister George è stato trattato da re. “Grazie King George”, hanno scritto sulle magliette i compagni di squadra. La notizia del suo rientro nel più capiente stadio liberiano, il “Samuel Kanyon Doe Sports Complex” di Monrovia, (trentacinque mila posti), ha fatto il giro del mondo. Weah ha giocato per settantotto minuti e la sua esibizione, anche se la vittoria è andata agli ospiti (1-2) è stata commentata con toni trionfalisticamente esagerati: meraviglioso, classe immarcescibile, standing ovation, pubblico in delirio ogni volta che toccava palla…La scelta della Nigeria come sparring partner, d’altra parte, non è stata casuale: Weah ha sempre dichiarato che il calcio nigeriano è un modello da seguire e cui lui si è ispirato.
Il match amichevole fra i “Lone stars” e i “Super eagles” nigeriani era stato organizzato dalla federazione liberiana per consentire al primo e unico Pallone d’Oro assegnato a un africano (nel 1995) di ritirare la maglietta numero 14, da sempre indossata con la nazionale liberiana e che lo reso famoso al punto di essere considerato uno dei quarantatré giocatori più bravi della storia del calcio.
Sicuramente lo è stato con i suoi duecentotrentotto gol messi a segno nei vari club e sedici con la nazionale biancorossa.
Nel Milan, poi, George Tawlon Manneh Oppong OusmanWeah (è il suo nome completo) è rimasto leggendario per quanto fece l’8 settembre di 22 anni fa. Una data fatidica per l’Italietta della seconda guerra mondiale, ma non per i milanisti. Quel giorno venne coniata l’espressione “ goal coast to coast”, intendendo con ciò una rete che ha oscurato tutte le altre cinquantasette realizzate da Weah con la maglia rossonera.
Era il minuto ottantotto della prima giornata, il Milan affrontava l’Hellas Verona ed era in vantaggio per 2-1. Weah, allora giocava col numero 9 non col 14, parti, palla al piede, dalla sua area di rigore, percorse novanta metri, superò tre avversari, entrò nell’ area veronese e con un diagonale infilzò il portiere. (Una galoppata e un gol memorabili che ovviamente si possono ammirare su You Tube).
Dopo cinque stagioni a Milano, all’età di trentaquattro anni, il bomber lasciò l’Italia per provare l’esperienza (poco fortunata) in Premier League con la maglia del Chelsea prima e Manchester City poi. Tornato in Francia nel 2001 all’Olimpique Marsiglia per poi chiudere la carriera all’Al-Jazira nel 2003. La sua sfolgorante carriera europea era iniziata a Monaco: qui Weah segnò quarantasette reti in centotre presenze tra il 1988 e il 1992. Dopo quattro stagioni passò a Parigi, dove con il Psg si impose definitivamente in Europa.
George Weah è nato in uno dei quartieri più poveri di Monrovia e non si è mai dimenticato del suo Paese. Per questo, ritiratosi dai campi di gioco, l’ex centravanti si è buttato in politica, dove, però, ha capito subito che vincere in questo campo è molto più complicato che dilagare in quello da gioco.
Si è candidato alle elezioni presidenziali del 2005 e del 2011 e ha rimediato due sonore batoste. Solo alla terza partita elettorale, nel dicembre 2017, ha vinto con oltre il sessanta per cento dei voti.
La sua presidenza però non è immune da critiche. La battuta, facile, è che il fantastico goleador sia andato presto nel pallone.
Che gli è successo da quando, il 22 gennaio scorso, ha giurato come 24° presidente della Liberia? E’ entrato in uno stato confusionale? Si è montato la testa?
Ha perso i contatti con la realtà del suo povero Pese, che si era impegnato a risollevare dopo le devastazioni delle due guerre civili e dell’Ebola?
E’ difficile giudicare a soli 9 mesi dall’incarico presidenziale, sono stati mesi tormentati..
Proprio in questi giorni (il 13 settembre) il capo dei tre partiti dell’opposizione, Alexander Cummings, ha lanciato una pesante insinuazione: Weah starebbe svendendo ai cinesi i beni naturali della Liberia in cambio di pochi miliardi di dollari.
Nell’aprile scorso Weah è stato accusato di voler imbavagliare la stampa. Il presidente-calciatore aveva, infatti, denunciato per diffamazione il quotidiano Front Page Africa, reclamando un indennizzo-record di quasi due milioni di dollari, cifra stratosferica “in una terra in cui il reddito medio mensile – ha ricordato all’epoca Giovanni Masotti – ammonta a non più di 45-50 dollari, che è centosettantasettesima (su centottantaquattro Paesi) nella classifica mondiale dello sviluppo, dove l’ottantacinque per cento della popolazione arranca mestamente sotto la soglia minima di povertà. Un’esosa intimazione che, evidentemente, vuole arrivare a costringere il giornale scomodo a chiudere i battenti”.
Sempre nei primi mesi di quest’anno il corrispondente della BBC da Monrovia sarebbe stato sottoposto a pesanti intimidazioni per aver rinfacciato al fresco capo dello Stato la mancata istituzione del Tribunale speciale per i crimini di guerra.
Neppure un mese fa Weah è stato poi criticato per aver deciso di assegnare a Claude Le Roy e ad Arsène Wenger, la più alta onorificenza del suo Paese. Questo perché Claude Leroy, settantanni anni, ex calciatore e allenatore francese (ora è selezionatore del Togo) , nel 1988 scoprì il talento di Weah mentre giocava nel Camerun. Le Roy segnalò il giovane liberiano ad Arsène Wenger, francese, sessantanove anni, ex giocatore di calcio e allenatore dell’Arsenal per ventidue anni, che lo lanciò nel firmamento calcistico internazionale quando allenava il Monaco.
Darius Dillon, un politico dell’opposizione, ha accusato Mister George di servirsi della massima onorificenza per premiare persone che avevano avuto un ruolo nella sua vita privata. “Non si possono dare certi riconoscimenti a individui che non hanno fatto niente per il Paese”, ha tuonato.
Un altro oppositore, Emmanuel Gonquoi, dell’ “Economic Freedom Fighters of Liberia” ha definito l’iniziativa “una complete perdita di tempo”.
Il ministro dello Sport, Dester Zeogar Wilson, ha, però, replicato: “Durante la ferocia della guerra civile, le uniche cose buone venute dalla Liberia sono state George Weah e le sue prodezze calcistiche. Perciò come non potevamo rendere omaggio a questi uomini che gli hanno consentito di conquistare ciò che conquistato?”
Sul piano strettamente personale non sembrerebbe che Weah abbia perso l’umiltà delle origini. Sul sito del governo liberiano (“The executive mansion”), campeggia la biografia della first lady: la signora Clar Marie Weah, madre di Martha, George Jr. and Timothy. Mrs. Weah è infermiera professionale, donna d’affari di successo, filantropa, nata in Giamaica, ultima di sette figli, emigrata negli Usa quando aveva tredici anni. Ambasciatrice dal marzo 2018 per il calcio femminile in Africa.
Vuota, invece, la biografia presidenziale. Compare solo una distinta foto, giacca blu, cravatta rossa. Pancetta ben nascosta. Un segnale di sobrietà? Forse, ma potrebbe non bastare. Intervistato dal quotidiano cattolico Avvenire, nel febbraio scorso, il “Re Leone George” aveva dichiarato: “Il mio sogno è donare opportunità ai liberiani. Da sempre prego cinque volte al giorno, come musulmano. Da presidente prego molto di più. Ne ho bisogno. Alla guida della Liberia mi gioco la partita più difficile”.
Costantino Muscau
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