Franco Nofori
Mombasa, 13 settembre 2018
“Avanti c’è posto”, sembra essere lo slogan rivolto alle potenze straniere che vogliano cimentarsi nello sfruttamento delle immense risorse africane. Dopo oltre un secolo di supremazia occidentale, che oggi segna una significativa battuta d’arresto, è ora la volta della Cina. Pechino si è accaparrata l’80 per cento dei pubblici appalti africani, grazie a un imponente flusso di aiuti finanziari al continente nero. La strategia del dragone orientale è semplice e del tutto trasparente: corteggiare le scarsamente democratiche leadership africane con robuste tangenti e ingigantire così il debito pubblico dei loro Paesi, debito che, nella maggior parte dei casi, non potrà essere restituito e che la Cina compenserà appropriandosi delle ricche risorse naturali del continente.
Il più recente goal realizzato dalla Cina in Africa (per dirne uno) è quello che riguarda il Sud Sudan che, pur se martoriato da sanguinose lotte intestine, possiede vaste risorse petrolifere, il cui sfruttamento è ormai quasi interamente nelle mani di Pechino, attraverso la sua impresa nazionale CNPC, China National Petroleum Corporation. Ma oggi, a contendersi il tesoro custodito nel sottosuolo africano, c’è un altro potente scommettitore: la Russia di Putin, che reagisce alle sanzioni imposte dall’Occidente, volgendo lo sguardo al già depredato continente africano, dove la Russia, peraltro, ha già conquistato un eccellente primato: quello di principale fornitore di armi.
Il motto di Mosca, nel mettere in atto questo progetto di conquista commerciale dell’Africa è quello di un preteso intento “anti-colonialista”, che sarebbe provato dall’accettazione di studenti africani presso i corsi universitari russi; dall’invio di forze militari “private” per garantire la sicurezza dei suoi nuovi partner africani e per “assisterli” nello sfruttamento delle loro risorse. Insomma, uno sfoggio di ammirevole e generosa solidarietà, verso un continente afflitto dall’indigenza e dal malgoverno. Se non siamo all’interno di una favola dei fratelli Grimm, ci siamo davvero molto vicini, ma il lieto fine, che è immancabile in tutte le favole, qui è tutt’altro che assicurato.
Finora il graduale inserimento russo in Africa, è stato largamente ignorato dall’Occidente che era portato a considerarlo come una benefica iniziativa volta a contrastare la crescente diffusione del terrorismo islamico, ma ai commentatori più attenti non sfugge l’intento di Mosca di ripristinare in Africa le posizioni geopolitiche dell’era sovietica, che oggi sarebbero volte a far sloggiare e a soppiantare le imprese occidentali e cinesi che vi operano. Le recenti visite del ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov’s, in Etiopia, Angola, Zimbabwe, Mozambico e Namibia, Paesi in cui sono stati conclusi accordi di cooperazione militare e politica, non possono che avvalorare questa ipotesi.
Il commentatore politico russo, Ruslan Gorevoy afferma che “l’assistenza militare russa predomina oggi in Sudan e nella Repubblica Centrafricana, ma presto sarà anche estesa alla Repubblica Democratica del Congo che, su richiesta di Kinshasa’s, si accinge a ripristinare un accordo di cooperazione militare con Mosca concluso due decenni fa”. Sempre secondo le stime di Gorevoy, il controllo militare di questi Paesi, uniti a quello sull’Angola “Costituirà una diagonale che dal Mar Rosso raggiungerà l’oceano Atlantico e in cui, in un futuro molto prossimo, confluiranno oltre diecimila specialisti militari russi”.
Tuttavia, malgrado questi propositi, i finanziamenti russi all’Africa sono ancora ben lontani da quelli di Stati Uniti e Cina. I primi, hanno raggiunto un totale di circa settanta miliardi di euro negli ultimi diciotto anni, mentre Pechino, solo nell’anno scorso, ha sfiorato gli ottanta miliardi, contro il misero miliardo e mezzo prodotto da Mosca, la quale, però, fonda il proprio ottimismo su altri fattori: non esasperare i leader africani con l’ossessione occidentale per i diritti umani e non esercitare l’assillante controllo che la Cina fa sui propri investimenti. Tutto questo, sempre secondo la un po’ cinica opinione di Ruslan Gorevoy.
Comunque, nel vasto panorama africano, ciò che più sembra preoccupare le potenze occidentali, è la massiccia presenza militare che Russia e Cina stanno ponendo in atto, posto che questi due paesi sono già i primi fornitori di armi per foraggiare le interminabili e costose guerre intestine che affliggono il continente. E’ notizia di ieri che la Cina ha appena dispiegato in Zimbabwe l’ultima generazione di missili terra aria HQ-9, gli stessi con cui Pechino protegge i propri confini sud-orientali, ma chi si sentirà protetto da questo formidabile sistema difensivo? Il Paese ricevente o quello fornitore?
E’ innegabile che il primo impatto di questi investimenti in Africa non mancherà di creare un beneficio al continente in termini di occupazione e in un conseguente miglioramento delle condizioni di vita, ma è altrettanto innegabile che, che all’infuori della sua corrotta leadership, sarà molto improbabile che l’Africa benefici degli immensi profitti creati da tali investimenti. Questo senza voler tener conto delle forti tensioni sociali che le presenze straniere in terra d’Africa stanno già creando, soprattutto ad opera cinese, per gli atteggiamenti discriminatori attuati dai nuovi dominatori nei confronti degli autoctoni.
Il video qui sopra, girato in Gabon, mostra con quali sentimenti di solidarietà alcuni imprenditori cinesi trattatino i propri dipendenti di colore, al fine di esprimere al meglio il loro nobile intento di fornire all’Africa, la dichiarata assistenza economica, umanitaria e sociale.
Franco Nofori
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