EDITORIALE
Barbara Ciolli
10 settembre 2018
Ricapitolando sulla Libia: tolto Gheddafi, gli islamisti a capo degli insorti hanno preso a litigare con i laici del pupillo fedifrago di Gheddafi, il generale Haftar; pur di farlo fuori, le milizie di Misurata sono arrivate ad allearsi con l’ISIS e al Qaeda, salvo poi liberare – pagate dagli Occidentali, dettaglio fondamentale – Sirte dall’ISIS e unirsi agli islamisti di Tripoli nel governo – sempre pagato dagli Occidentali – di al Serraj, rivale di Haftar; ma ora che a Tripoli le milizie sono diventate una lobby, i misuratini della guerra al rais sono pronti a tradire al Serraj, marciando con Haftar verso la capitale, acclamati da una maggioranza di libici che ormai rimpiange, e parecchio, il regime di Gheddafi.
È lunga, da raccontare, anche senza tener conto delle alleanze incrociate dalle varie parti con le minoranze dei tuareg e dei neri tebu, nel sud della Libia ancora più fuori controllo. Ma sopra tutto c’è la verità fissata nel tweet di una giovane tripolina: “’Credo che la rivoluzione sia stata un successo’ – cioè il titolo di un vecchio editoriale di al Jazeera – non lo dice più nessuno tra chi adesso vive in Libia”. Come la Siria che esce da sette anni di atrocità con quasi mezzo milione di morti, più della metà della popolazione fuggita e Assad saldo in sella al regime, l’ex jamahiriya, la “repubblica” popolare di Gheddafi, insegue un suo qualche futuro aggrappandosi al passato.
Haftar si rivoltò contro il rais alla fine degli anni ’80 e ha ribadito di non voler imbarcare il delfino superstite di Gheddafi, Saif al Islam. Ma il generale 75enne resta un coetaneo di Gheddafi, comanda con autoritarismo l’est della Cirenaica e buona parte del sud e vuol accentrare su di sé i poteri anche a Tripoli. Non a caso è spinto dal presidente e generale al Sisi, che ha riportato la dittatura militare in Egitto con un golpe pagato dai monarchi assoluti sauditi e dagli Emirati arabi. La restaurazione prende forma in tutto il Nord Africa (anche nella Tunisia delle elezioni democratiche chi comanda – e reprime scioperi – è il capo di Stato 91enne Essebsi del fronte laico dell’ex regime), perché dall’altra parte delle Primavere arabe c’è il caos della frammentazione e dell’estremismo islamico.
Può darsi che a portare l’ISIS tra gli islamisti siano stati servizi delle dittature. Ma c’è fame di ordine e a Misurata dicono di voler trattare persino con Saif Gheddafi. Tutto assurdamente come prima del 2011? No, molto peggio perché la Libia è la Siria del Nord Africa e potrebbe diventare presto il suo Afghanistan, un’altra Somalia. Il livello di barbarie che vivono sulla loro pelle i migranti non si era mai visto neanche sotto Gheddafi: lo scatolone di sabbia e di petrolio è depredato, da anni e sempre di più, da una miriade di milizie dedite ad attività mafioso-criminali a ogni livello della società e delle istituzioni, sotto alleanze mobili quanto il nomadismo delle tribù arabe, lo stesso Gheddafi fu d’altronde individuato e ucciso per il tradimento di una tribù “amica” e delle relative milizie.
I gruppi armati taglieggiano ministri e deputati, controllano impianti e società petrolifere, banche e infrastrutture, trafficano armi e migranti, sequestrano, impongono il racket e litigano tra di loro per arricchirsi, secondo la logica del nemico del mio nemico è mio amico, per ora. In Libia mancano elettricità, soldi nelle banche, sicurezza nelle strade, il sud è un rifugio per terroristi dell’ISIS e di al Qaeda e non è affatto detto che a Haftar e ai nuovi alleati riesca la conquista di Tripoli. Non a torto Obama prese atto “dell’inscalfibile rivalità tra tribù libiche”: dal 2011 sono corsi litri di sangue, anche per le potenze straniere mai paghe di aizzare i fratelli-coltelli dell’ex colonia italiana.
Pure gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, con la Turchia e il Qatar agitatori delle Primavere arabe, visto il loro fallimento stanno virando su Haftar, nell’obiettivo ultimo di sfilare la Libia all’Italia. La Cia non può aver scaricato l’anziano generale, per 20 anni a suo libro paga negli Usa, e Haftar che è corteggiato anche dalla Russia è ormai la longa manus della Francia in Libia. Macron è diventato il suo sponsor più grande, ma dove pensa mai di avviarsi con le milizie?
Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
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