Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite dal 1997 al 2006,
è morto stamattina in un ospedale di Berna dopo una breve malattia.
Lascia la moglie Nane, svedese, e tre figli, Ama, Kojo e Nina. Durante il suo mandato
all’ONU, nel 2001 ricevette il premio Nobel per il suo lavoro
“per un mondo ben organizzato e in pace”. Dal marzo 1993 al febbraio 1994 fu sottosegretario
dell’Organizzazione con l’incarico di coordinamento delle operazioni di peace keeping .
Kofi Annan era nato a Kumasi, in Ghana nel 1938 e, attualmente, era membro
dell’organizzazione “The Elders” (gli anziani saggi), un gruppo che riunisce decine di ex leader
che si pongono problemi di diritti dell’uomo. “
The Elders” è stata fondata nel 2007 da Nelson Mandela.
Massimo A. Alberizzi
Grazie Kofi Annan. Se sono ancora qui a scrivere è anche perché lui intervenne personalmente perché io non finissi in una putrida galera in Eritrea.
Era il 2003 e avevo lasciato per un semestre in aspettativa il Corriere della Sera, d’accordo con il direttore formale, Ugo Stille, e quello sostanziale, Giulio Anselmi, accettando la nomina del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, come consulente nel panel che si occupava dell’investigazione del traffico d’armi in Somalia.
Viaggiavo molto per capire da dove arrivassero quelle armi che, al mercato di Bakara, a Mogadiscio, venivano vendute per pochi dollari. Con 100 euro si poteva acquistare un kalashnikov con relative munizioni. Chiesi e ottenni – come consulente dell’ONU – un visto per andare in Eritrea. Visitai il porto di Massawa, chiedendo informazioni e ottenendo risposte vaghe da persone sospettose e impaurite.
Nell’ex colonia italiana era già cominciata la forte repressione. Il 18 settembre del 2001 erano stati arrestati diversi ministri (da allora scomparsi in qualche galera nascosta) e il giro di vite aveva colpito studenti, intellettuali e gli esponenti della società civile. Avevo scritto parecchi articoli in proposito sostenendo, tra l’altro, che la guerra con Etiopia, scoppiata nel 1998 e proseguita nel 2000, era stata cominciata e voluta dall’Eritrea, cosa che sarebbe stata sancita anche da una commissione internazionale indipendente.
Ad Asmara alloggiavo all’Hotel Intercontinental dove abitava, tra l’altro, una parte dei carabinieri italiani, spina dorsale del contingente internazionale dell’ONU, l’UNMEE (United Nations Mission in Ethiopia ed Eritrea). Naturalmente avevo intervistato i comandanti dell’operazione, che quindi conoscevo bene.
Una domenica mattina di ottobre, non ricordo esattamente il giorno, sto per imbarcarmi per un volo della British Airways per Khartoum, dove devo incontrare i capi della polizia locale. Arrivo all’aeroporto di Asmara, faccio il check-in e consegno il mio borsone con il bagaglio. Resto in sala d’attesa per oltre un’ora e quando il volo viene chiamato sono il primo a presentarmi alla porta d’imbarco. Mostro il mio biglietto e i due funzionari si guardano, parlottano un po’ e uno di loro mi intima di seguirlo.
Tutto penso, ma non che mi stiano per arrestare. Mi portano in una stanzetta dell’aeroporto dove appese al muro ci sono varie foto segnaletiche. La mia è lì. Sotto c’è una nota ma è scritta in tigrigna quindi non capisco proprio cosa ci sia scritto.
Protesto facendo presente che il volo sta per partire e non aspetta certo me. I funzionari fanno finta di non capire nulla e mi tengono lì seduto un paio d’ore. Non ci sono finestre ma capisco che l’aereo è già andato via.
I funzionari continuano a telefonare, ma non ottengono nessuna risposta. Mi renderò conto dopo che, essendo domenica, non riuscivano a comunicare con i loro capi e si trovavano in difficoltà. In Eritrea, poi, nel 2003 non esistevano i cellulari. Dopo un po’ mi portano nella sala degli arrivi e mi fanno riprendere il mio bagaglio che mi aspettava sul nastro mobile.
Mi caricano su un’auto senza dire una parola e mi trasferiscono all’Intercontinental. Mi accompagnano nella mia stanza e mi intimano: “Sei in arresto, non muoverti da qui!”
Immediatamente cerco nella mia borsa il telefono satellitare, le sue dimensioni erano già quelle di un grosso apparecchio cellulare e la polizia di frontiera non aveva ritenuto necessario sequestrarlo forse pensando che fosse un normale GSM non in grado di funzionare in Eritrea. Chiamo subito il numero di emergenza dell’ONU a New York. Mi risponde l’unità di crisi, attiva 24 ore su 24, e l’interlocutore mi assicura. “Avviso subito l’ufficio del segretario generale”, cioè Kofi Annan.
Per parte mia avviso subito i capi del contingente italiano, che purtroppo, come era prevedibile, non possono fare nulla. Sono ospiti non graditi in Eritrea e, infatti, saranno cacciati dal Paese pochi mesi più tardi. Mi assicurano però che mi terranno d’occhio e due uomini piantoneranno discretamente la porta della mia stanza.
Resto in attesa per un po’ di ore, il tempo che a New York siano tutti svegli e mi chiama la segretaria di Koffi Annan. “Il segretario generale – mi informa una signora diligente e gentile – è in contatto diretto con il presidente dell’Eritrea, Isaias Afeworky. Si sono parlati a lungo e non è stato facile, ma alla fine l’ha convinto: lei è libero di partire. Le consiglio di prendere il primo aereo e vada via di lì”.
Già, ma il primo aereo sarebbe stato martedì. Beh, confesso di aver passato un lunedì terrorizzato di scomparire in una delle galere segrete della dittatura.
Tre anni dopo, nel dicembre 2006 sarei stato sequestrato dagli islamici in Somalia. Per ordine preciso degli eritrei. Ma questa è un’altra storia.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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