Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
Milano, 12 agosto 2018
L’Italia è nero-azzurra, e non solo nello sport; il governo è gialloverde (o gialloblu), con qualche livida striatura razzistica. E’ il paradosso del nostro Paese. Un paradosso ancor più visibile dopo i Campionati europei di Berlino, che si concludono oggi.
I tanti, troppi daltonici politico-sociale si saranno accorti che gli atleti multietnici della nazionale italiana sugli ottantanove che sono scesi in pista o in pedana sono ventotto e costituiscono il 31,5 per cento della spedizione un tempo solo azzurra? “Dietro ai numeri ci sono le persone”, aveva scritto quindici anni fa Claudio Camarca nel suo libro “Migranti”. E dietro alle persone c’è una nuova Italia,composta di nuovi, normalissimi italiani.
“Studiamo, ci alleniamo, siamo atlete italiane all’Europeo per vincere una medaglia. Chi rifiuta l’idea se ne faccia una ragione…”. Così parlò Ayomide Folorunso alla vigilia dei 4×400 metri femminili degli Europei di atletica 2018 disputatasi ieri sera allo stadio Olimpico di Berlino (sì, quello di Hitler, quello che nel 1936 incoronò Jesse Owens) . Una gara deludente per le nero-azzurrine (classificatesi quinte, potevano fare molto di più e meglio).
Le All Black – come le ha definite la Gazzetta dello Sport – non sono state capaci di replicare il successo di fine giugno ai Giochi del Mediterraneo di Tarragona. Una vittoria che fece clamore appunto perché aveva assunto un significato extrasportivo in un’Italia dove “sparare” al diverso, soprattutto se nero, è da taluni visto sempre e solo come una goliardata.
Ayomide Folorunso ha 21 anni è nata ad Abeokuta (Nigeria) – città che ha dato i natali anche al primo premio Nobel per la letteratura africano Wole Soyinka – e trapiantata con la famiglia a Fidenza nel 2004 quando di anni ne aveva otto. Ayomide, occhialoni da miope, è la più giovane delle quattro atlete che hanno preso parte alla staffetta. Ayomide è una persona normalissima, che riesce a conciliare senza difficoltà, anzi con successo, l’attività agonistica con gli studi di Medicina (mira a essere pediatra) e delle Sacre Scritture.
Le altre tre sono:
- Raphaela Lukudo, ventiquattro anni, nata ad Aversa nel Casertano ma poi trasferitosi a Modena a 2 anni. I suoi genitori erano giunti dal Sudan come rifugiati. Studia Scienze motorie e anche lei condivide senza problemi studio con sport. E ieri sera, nella terza frazione della staffetta, è stata la più brillante.
- Maria Benedicta Chigbolu, ventinove anni, vistosamente riccioluta, è nata a Roma da padre nigeriano, Augustine, e madre italiana, Paola. E’ laureata in scienze dell’educazione e della formazione.
- Libania Grenot, trentacinque anni, cubana naturalizzata italiana nel 2008 per matrimonio con Silvio Scaffetti. Sono tutte e quattro di colore (nero) e fanno parte ormai di quella generazione che è entrata a pieno titolo nel nostro sport, ma soprattutto della nostra vita quotidiana.
Sono l’esempio di ragazze che vivono la loro vita serene e tranquille, con i genitori che hanno fatto tanti sacrifici per loro, che sono giunte da noi con percorsi diversi, ma tormentati. Come loro ci sono quelli che sono stati definiti “i gemelli diversi” nati in Etiopia e adottati all’età di sette anni.
Sono le medaglie di bronzo Yemaneberhan Crippa, noto come Yeman (nei 10.000), ventuno anni, e del coetaneo Yhoanes Chiappinelli, per gli amici Yoghi (nei 3000 siepi).
Yeman, dal vistoso ciuffo biondo, poliziotto delle Fiamme gialle, è entrato nella famiglia del trentino Roberto Crippa, oggi 51 anni, assieme a sette fratelli e cugini rimasti orfani della guerra. I loro nomi sono Medkes, diciannove anni commessa a Trento, Mulu, venti, cameriera, Gadissa, ventuno, cameriere anche lui, Asna, ventitre, parrucchiera a Milano, Neka, ventiquattro, cameriere a Trieste, vincitore nel 2013 del mondiale Juniores di corsa, Elsabet, ventisette, rientrata in Etiopia con la Cooperazione internazionale, Kelemu, ventotto, operaio, a Tione, (Trento).
“Li ho cresciuti – ha raccontato Roberto Crippa a Quotidiano.net – puntando sulla qualità del cibo e riciclando i vestiti”. Ieri sera Yeman solo per un soffio ha perso un altro bronzo nella corsa dei 5 mila metri. E’ arrivato quarto.
Quanto a Yoghi, portacolori dei Carabinieri, è stato adottato da una coppia di professori di matematica dell’università di Siena, salvandolo dagli stenti di un villaggio non lontano da Addis Abeba. Entrambi sono perfettamente integrati nello sport e nella società (grazie allo sport), compagni in nazionale (nero) azzurra e assertori convinti di far parte di una generazione che avanza, in pista e fuori.
E’ nato in Italia Fausto Eseosa Desalu, ventiquattro ann,i da genitori nigeriani, ma cittadino tricolore dal 2011 quando il papà e la mamma diventano italiani. Fausto è l’atleta nazionale più veloce sui 200 metri dopo Pietro Mennea (agli europei è giunto sesto in finale).
La lista del nuovo che avanza a passo di corsa , o che scende in pista anche per battere il razzismo, è lunga. E comprende e ancora tanta Africa.
Dal Mozambico (Joao C. M. Bussotti N. J), alla Somalia (Mohd Abdikadar Sheik Ali), all’Egitto (Ahmed Abdelwahed), alla Tunisia (Ala Zoghlami), al Marocco (Yassine Rachik e Fatna Maraoui), all’Eritrea (Eyob Faniel) al Ghana (Gloria Hooper) , alla Costa d’Avorio (Hassane Fofana e Audrey Alloh) e al Camerun (Paolo dal Molin). Non dobbiamo però trascurare chi ha origini dominicane (Bencosme ed Herrera), ucraine (Dariya Derkach Derkach), russe (Aceti), cubane (Yusneysi Santiusti e Yadisleidi Pedroso) e statunitensi (Jacobs e Trevisan Andrew Howe).
Forse ne abbiamo dimenticato qualcuno. Di sicuro, però non si tratta di azzurri comprati, come avviene in molte altre parti del mondo.
In ogni caso non possiamo lasciar fuori Daisy Osakue, 22 anni, nata a Torino da genitori nigeriani. Sia perché ieri sera nella finale del lancio del disco ha colto un sorprendente quinto posto; sia perché la sua presenza a Berlino è la miglior reazione alla “goliardata” di Moncalieri, quando tre giovinastri le lanciarono un uovo sugli occhi e misero in forse la sua partecipazione agli Europei.
Daisy, assieme alle All Black, assieme a Yoghi, a Yeman e a tutti gli altri, neri o gialli, o verdi, o rossi, o bianchi ha definitivamente significato una svolta epocale: l’Italia si avvia a essere pienamente un Paese multietnico. Sta cambiando non solo nell’atletica, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Chi rifiuta l’idea se ne faccia una ragione…
Costantino Muscau
muskost@gmail.com