Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 7 agosto 2018
Che l’antico Impero Celeste abbia in atto un processo d’irreversibile fagocitazione del continente africano e delle sue immense risorse, è ormai un fatto inconfutabile. Questa ben congegnata strategia di conquista -nata e sviluppatosi sotto gli occhi di un mondo quantomeno distratto – si estende oggi dal Mali al Sudafrica; dall’Angola al Mozambico e appare sempre più imponente in termini di opere realizzate, d’investimenti e di profonde influenze culturali e sociali sul continente nero, ormai divenuto l’indifendibile preda cinese.
La Cina è diventata il primo partner commerciale dell’Africa, relegando al secondo e terzo posto Unione Europea e Stati Uniti. Questo primato le consente di controllare quasi il 70 per cento dei contratti continentali grazie ad appalti che, anno dopo anno, s’incrementano di un buon 30 per cento, senza mostrare segni di flessione. Angola, Kenya, Sudan, Ciad, Mauritania, Tanzania, Sudafrica, Guinea Equatoriale, Etiopia, Gibuti, Nigeria, Zambia, Zimbabwe, Mozambico, Mali… resta ben poco dell’Africa che non sia ancora caduto sotto l’egemonia cinese.
Il dragone orientale, oggi indossa anche l’uniforme e installa contingenti armati in Mali e a Gibuti dove sembra voler fare lo sberleffo alle forze americane già presenti nel minuscolo ma altamente strategico staterello dell’Africa orientale. Non solo: la Cina sta anche contendendo alla Russia il primato di primo fornitore di armi che foraggiano i conflitti prodotti dall’incontenibile animosità tra le varie etnie politico-tribali del continente. Si tratta di armi di qualità scadente, non molto diverse dalle merci che la Cina, dopo essersi impossessata delle risorse africane, scarica sui suoi sventurati consumatori.
Il più ambizioso (anche se non apertamente dichiarato) progetto cinese resta però quello di ricollocare in Africa i poveri di casa propria che ammontano alla sbalorditiva cifra di 500 milioni. Si tratta di un esercito di derelitti che in patria sono condannati alla fame. Sì, la Cina potente e rampante, che è diventata la seconda economia mondiale dopo gli USA – di cui, tra l’altro, detiene la maggior parte del debito pubblico – è anche al secondo posto (dopo l’India) tra i Paesi più poveri del mondo. Un gigante, quindi, con le gambe d’argilla? Forse, ma stando al suo progetto, potrebbe non esserlo ancora per molto. In Angola – che non a caso è il secondo produttore di petrolio del continente, dopo la Nigeria – stanno nascendo intere “Città Fantasma”. Si tratta di edilizia popolare ma decorosa. Centinaia di complessi residenziali provvisti delle necessarie infrastrutture che serviranno, pur se gradualmente, a ospitare i nuovi colonizzatori cinesi ai quali, la terra d’origine, non offre opportunità.
Di questo stato di cose si è recentemente occupata Ilaria Bifarini, una bocconiana che si definisce oggi “pentita” di esserlo. Nel suo libro “I Coloni dell’Austerity”, edito da Youcanprint, la trentottenne ricercatrice, attribuisce l’invasione cinese dell’Africa alle teorie dei soloni dell’economia occidentale che hanno aperto il mondo al mercato globale e al neoliberismo, cioè alle stesse teorie da lei apprese alla Bocconi e che oggi rinnega. Il libro è ben scritto e altrettanto ben documentato, pur non rinunciando all’eterna autofustigazione per le colpe commesse dal colonialismo che, lei vede proseguire, pur se con metodologie diverse, anche nel presente, ai danni dell’Africa.
Si tratta di opinioni per molti versi condivisibili, ma un po’ troppo concentrate sul ritornello delle colpe occidentali per aver assoggettato popoli con la forza e averli quindi sfruttati con l’accaparramento delle loro risorse. Tutto vero, ma se dovessimo proseguire su questa perlustrazione del passato, oltre che a rivelarsi uno sforzo inutile per affrontare i problemi del presente, ci troveremmo a dover recriminare che esistano gli Stati Uniti d’America, il Canada, L’Australia, la Nuova Zelanda e varie nazioni dell’America Latina. Se poi si volesse affondare la ricerca più profondamente nel passato, dovremmo prendercela con i romani, i greci, i turchi, gli assiri, i fenici… e (perché no?) l’intero Piemonte potrebbe anche rivendicare il suo antico titolo di “Gallia Subalpina” e reclamare l’indipendenza da Roma. Per non parlare dell’Alto Adige, dell’Istria e dell’Alsazia Lorena, costrette a essere dominate da governi che non hanno mai voluto né gradito.
Al di là del fatto che le colpe del passato esistono e che alcune di queste sopravvivono tuttora ai danni dei paesi emergenti, non si possono neppure sottacere le oggettive responsabilità delle leadership africane, prime e principali responsabili delle drammatiche condizioni del continente. Su queste responsabilità, invece, la scrittrice mostra di non volersi soffermare. Eppure, dove c’è un corruttore, c’è inevitabilmente, anche un corrotto e spesso, in terra d’Africa, il termine corruzione dovrebbe più propriamente essere sostituito dal termine estorsione, giacché è spesso di questo che si tratta.
Una lucida visione su questo stato di cose, la fornisce anche un’autorevole economista di colore: l’oxfordiana Dambisa Moyo, originaria dello Zambia. Nel suo libro “La Carità che Uccide” edito da Rizzoli, la Moyo attribuisce l’arretratezza dell’Africa ai massicci aiuti finanziari erogati dai paesi industrializzati. Aiuti che ingrassano la classe politica africana e impediscono al continente di raggiungere la necessaria maturità per dedicarsi all’autogestione della propria terra, senza incrementare la dipendenza dai cosiddetti donors che poco si preoccupano della reale emancipazione dell’Africa, ma finalizzano esclusivamente questi interventi ai propri interessi.
Questa è la stessa procedura che sta oggi seguendo la Cina per appropriarsi dell’Africa. Del resto, il successo di questa strategia lo spiega senza esitazioni un illustre africano, Philip Murgor, ex Procuratore Generale del Kenya: “La vostra tecnologia – ha detto ad Africa Express, riferendosi all’Europa – è certamente migliore di quella cinese e i vostri prezzi, almeno per quanto riguarda questo Paese, non sono superiori a quelli da loro praticati. La Cina ottiene i contratti perché un terzo del loro valore lo cede ai politici che hanno il potere di ratificarli, mentre voi, se lo fate, rischiate di finire in galera”.
Franco Nofori
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