Speciale per Africa ExPress
Alessandra Panunzio
Milano, 29 luglio 2018
Domenica, Brazzaville, Repubblica del Congo. Nelle strade polverose e dissestate della capitale dell’ex colonia francese tutti i fine settimana prende vita uno dei più eccentrici happening di moda e costume. Smessi i panni abituali di operai, scaricatori, ambulanti, taxisti, i sapeurs – questo è il nome degli aderenti al movimento della Sape, Société des Ambianceurs et des Personnes Elégantes – trasformano radicalmente il loro look e scendono in strada per il défilé, abbigliati di tutto punto in una originale reinterpretazione dell’eleganza occidentale.
La Sape è il trionfo dell’ostentazione: marchi, colori, abbinamenti, ogni dettaglio è combinato ad effetto per creare stupore ed ammirazione. Un tripudio di accessori – pochette, bastoni da passeggio, cilindri, bretelle, scarpe bicolori – a contorno di abiti ricercati, gilet, redingote, persino kilt. Il tutto portato con la disinvoltura e la fierezza di chi, attraverso l’abbigliamento, esprime orgoglio e consapevolezza di sé. La ricerca ossessiva dell’eleganza e di uno stile unico diventa ricerca di identità, segno distintivo, espressione personale.
Il sapeur congolese è un dandy dei nostri giorni, un’icona di stile e di eleganza fedele ai rigidi canoni dettati dalla Sape. L’abbigliamento ricercato e il saper vestire assumono un significato sociale quasi rivoluzionario, strumenti di riscatto dalla povertà e dall’anonimato, un modo per affermare il valore della persona al di là e al di sopra di una condizione socio-economica svantaggiata.
La Sape ha i connotati di un movimento di sottocultura urbana, con una propria scala di valori, un codice etico (violenza ed aggressività sono bandite dal comportamento del vero sapeur), una precisa gerarchia – che porta fino al grado di grand sapeur, una sorta di gran maestro dello stile. Secondo le parole dei suoi adepti, la Sape è una filosofia di vita all’insegna della joie de vivre e del savoir faire, carica di significati socio-politico-culturali più o meno dichiarati.
Il movimento affonda le sue radici nella prima parte del XX secolo, quando a Brazzaville, città capitale della colonia francese del Congo, i vestiti usati dei padroni colonialisti erano merce di scambio e di compenso per le prestazioni di servitori e lavoratori, i quali cominciarono presto ad identificare l’adozione del modello stilistico ed estetico occidentale con un segno evidente di emancipazione, una dimostrazione di acculturazione. Al contempo, i privilegiati congolesi che in quegli anni potevano permettersi il lusso di raggiungere la Francia, ne facevano ritorno portando orgogliosamente con sé i must dello stile occidentale.
Dopo periodi di alterne fortune, la Sape riemerge con nuovo vigore negli anni ‘60, quando, in concomitanza con l’indipendenza del Congo, prende avvio la diaspora da parte degli africani verso i paesi dell’Europa occidentale alla ricerca di opportunità che il nuovo assetto socio-politico non riesce a garantire. Ed è così che dalla Francia soprattutto, fonte indiscussa di ispirazione culturale e stilistica per gli emigrati congolesi, vanno e vengono i nuovi dandy, ed insieme a loro grandi quantità di capi d’abbigliamento che contribuiscono ad alimentare le eccentriche scorte degli armadi dei sapeurs di Brazzaville.
Dopo gli anni ‘70 e l’omologazione anche estetica imposta dall’uniforme nazionale maschile sotto il regime di Mobutu, arriva la ribellione – non solo stilistica – degli anni ‘80, quando il trionfo planetario di marchi del calibro di Armani, Versace, Jean Paul Gaultier, Yamamoto creano nuovi modelli di riferimento per i cultori congolesi del glamour. Il cantante-icona Papa Wemba contribuisce sostanzialmente alla consacrazione del movimento.
I capi più ambiti hanno costi esorbitanti per il mercato locale; spesso i sapeurs, oltre ad impegnare fortune in vestiti di marca, ricorrono allo scambio ed al noleggio, pur di rispettare la regola che impone frequenti cambi ed alternanze d’abito. Se l’originale è inaccessibile, l’imitazione è ammessa; in fin dei conti il valore non sta nell’abito in sé, ma nell’uomo che lo indossa.
Ed è proprio in questi giorni che il movimento incassa una sorta di legittimazione internazionale grazie al recente spot pubblicitario della Guinness, opera del regista spagnolo Héctor Mediavilla, dove la ricostruzione di un locale-club popolato da elegantissimi ed eccentrici sapeurs fa da sfondo al nuovo commercial della birra irlandese.
Per una volta la citazione del continente africano non suscita la consueta onda di commiserazione e di pietà, ma al contrario evoca uno dei suoi più fervidi lati creativi ed impartisce un’inattesa lezione di life style, diventando fonte di ispirazione per il marketing globalizzato. Potere della Sape.
Alessandra Panunzio
apanunzio@hotmail.com
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