Costantino Muscau
Milano, 20 luglio 2018
Se gli astronomi e gli astrofisici non si scandalizzassero, verrebbe da dire che siamo di fronte al paradosso dei gemelli: uno di essi intraprende il viaggio interstellare e al ritorno trova quello terrestre decrepito, invecchiato, mentre lui è bello e fresco! Così l’Africa, con le sue cinque nazionali presenti in Russia, è uscita distrutta dalla 21° edizione della Coppa del Mondo, mentre tre delle quattro squadre giunte alla fase finale hanno preso il volo galattico grazie ai figli, o ai nipoti dell’Africa nera.
La Francia,trionfatrice il 15 luglio, nella sua rosa dei ventitré giocatori, ne ha quattordici con almeno un genitore originario del Continente nero (il sessanta per cento ): 1 da Angola, Guinea, Togo, Marocco, Algeria: due del Mali, Camerun e Senegal, tre della Repubblica Democratica del Congo. Due dei quattordici sono proprio nati in Africa: il portiere Steve Mandanda il 28 marzo 1985 ha visto la luce a Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo, RDC); il difensore Samuel Umtiti a Yaoundè (Camerun) il 14 novembre 1993.
Il Belgio, classificatosi terzo, ne ha sette, quattro con ascendenze congolesi, due marocchine, uno del Mali.
Più di un osservatore ha sottolineato come Francia e Belgio insieme abbiano 8 giocatori, quasi una nazionale, con radici in un Paese, la Repubblica Democratica del Congo, che in Russia non ci è neppure arrivata!
Ha scritto “Jeune Afrique”: “Le origini dei calciatori di Francia e Belgio raccontano la storia di mezzo secolo di immigrazione nelle due nazioni. In Belgio era stata firmata una convenzione bilaterale nel 1964 con il Marocco per organizzare l’arrivo di lavoratori marocchini nelle zone minerarie. Nel 2015, data dell’ultimo censimento la popolazione di origine marocchina in Belgio era del 3,9 per cento”.
Quanto ai quattro “congolesi”(Lukaku, Boyata, Batshuayi, Kompany), inutile ricordare come i legami siano dovuti allo spaventoso dominio belga del Congo.
La stessa Inghilterra, piazzatasi quarta dopo la sconfitta col Belgio, conta sette atleti di colore fra i ventitre dei suoi convocati: alcuni con ascendenze giamaicane, nevisiane (arcipelago delle Piccole Antille), altri nigeriane e del Togo. (Solamente la nazionale giunta seconda, la Croazia, schiantata in finale proprio dalla Francia (2-4), nella lista dei ventitre convocati non ha né un nero né un immigrato).
Di fronte a questo quadro multietnico viene da chiedersi: come sarebbero state le nazionali calcistiche in Russia senza l’apporto dei migranti?
La domanda se la sono posta in tanti, riflettendo su calcio e immigrazione in un’epoca di ululati razzisti, di costruzione di muri, di chiusure di porti. E le risposte sono state diverse, alcune – anche nei giorni scorsi e da fonte insospettata – molto polemiche.
Aveva scritto, alla vigilia della Coppa del Mondo in Russia, Maria Teresa Messidoro, vicepresidente dell‘Associazione Lisangà – culture in movimento: “Il Mare Mediterraneo ogni giorno di più è una fossa comune, tappa finale del viaggio della disperazione di milioni di persone, che fuggono dalle guerre, dalle carestie e dalle crisi di cui l’Europa e il neo liberismo ancora dominate sono responsabili. Per lo meno 43 giocatori nati in Africa, o con genitori africani integrano otto delle quattordici selezioni della UEFA (l’Unione Europea delle Federazioni Calcistiche Europee) presenti ai mondiali, un giocatore di origine asiatica, dieci provengono dai Balcani e sedici dal Sudamerica, includendo l’area caraibica. In totale, il continente europeo che tanto denigra i migranti, li umilia, li espelle e li sfrutta, deve appoggiarsi su una settantina di giocatori frutto delle migrazioni: per alcuni giorni, ma solo per alcuni, i tifosi si dimenticheranno di muri, del colore della pelle e della propria xenofobia”.
A Mondiali conclusi, è andato giù pesante addirittura il presidente del disastrato Venezuela, Nicolas Maduro, che ha lanciato un appello affinché i Paesi europei la piantino col razzismo. Ha dichiarato:”Quanto è stata disprezzata l’Africa, quanto l’hanno schiavizzata e saccheggiata per cinquecento anni. Ma nel Mondiale la Francia ha ottenuto la vittoria proprio grazie a giocatori africani o figli di africani. Così è la vita!”
Diego Armando Maradona , a sua volta, ha alzato il tiro soffermandosi sull’origine multietnica dei vincitori: “C’è una mafia che porta via i calciatori africani per naturalizzarli per le nazioni europee. E molte volte il bisogno obbliga questi giovani giocatori a fare una scelta del genere”.
Le nuove regole della Fifa hanno tentato di evitare la tratta dei giovanissimi quando ha deciso di consentire a giocatori con doppio passaporto di far parte di una nazionale non di nascita, anche se si è già scesi in campo con quella di origine.
La multietnicità ha tenuto banco su giornali, tv, social media, prima , durante e soprattutto dopo Russia 2018. “Campioni, ma non francesi” è stato lo slogan intorno al quale si sono accese discussioni e sono avvampate le polemiche.
Non è un caso se negli Usa, Trevor Noah (cabarettista di origini sudafricane), durante il seguitissimo programma tv di satira Daily show sul canale a pagamento Comedy Central, diventato virale, ha detto scherzando : “Sono contento perché l’Africa ha vinto la Coppa del Mondo”.
Molti seri, invece, l’analisi e il commento, qualche giorno fa, sul New York Times di Antony J. Blinken, vice segretario di Stato con Obama, che si è rivolto al presidente francese scrivendo: “La Francia nel dopoguerra ha reclutato ondate di migranti per ricostruire il Paese e perché bisognosa di manodopera. Verso gli anni ’70 aveva accolto più migranti – circa 2 milioni e 700 mila – di qualsiasi altro Paese europeo. Buona parte di essi si sono insediati nei quartieri periferici abitati da lavoratori non bianchi , “les banlieues”, che assediano le città principali. Dalle banlieues viene buona parte dei suoi giocatori di origine africana che le hanno fatto vincere il secondo titolo mondiale e almeno per un giorno hanno reso l’intera nazione felice della sua diversità. Mr. Macron è ora di dare alle banlieues quello che le banlieu hanno dato alla Francia”.
Discutere di razze è comunque sempre un terreno scivoloso. Per questo ci sentiamo di concludere con un riflessione che prendiamo in prestito da “Jeune Afrique” e che giriamo a un certo ministro dell’Interno: “Non importa da dove si viene, l’importante è accogliere a braccia aperte coloro che hanno bisogno”.
Costantino Muscau
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