Franco Nofori
Mombasa, 17 luglio 2018
L’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è arrivato domenica scorsa in Kenya per la sua quarta visita, questa volta in forma privata, per sostenere un progetto umanitario della sorella Auma Obama, in Kisumu, la capitale del luoland, etnia cui Obama appartiene da parte di padre. Al suo arrivo è stato ricevuto dal presidente Uhuru Kenyatta e ha successivamente incontrato anche il suo tribesman Raila Odinga per poi proseguire verso Kisumu con un jet privato.
Questa breve visita, di soli due giorni, è la quarta che Obama compie nella terra dei suoi avi. La prima risale al 1987 quando un Obama appena ventisettenne ebbe modo di conoscere la sua famiglia paterna. Venne poi nuovamente nel 2006 quando era senatore e infine tornò nel 2015 come il presidente della più grande potenza del mondo. Oggi vi arriva, spogliato da tutti quei titoli e l’atteggiamento informale che ostenta (maniche di camicia e senza cravatta) sembra voler sottolineare il suo desiderio di muoversi in libertà senza l’imbragatura di sicurezza che la sua scorta gli imponeva quand’era l’inquilino ufficiale della Casa Bianca.
Con cravatta o senza, Obama resta comunque una straordinaria icona per i follower keniani, che vedono nel suo successo il riscatto alla propria condizione. Forse gli snob filoamericani di Kisumu e di Syaia, quelli che vantano almeno un parente negli States, che pronunciano Manhattan con l’acca aspirata che dicono I wanna, invece di I want, che impazziscono per il rap importato dal Bronx (lo stesso che il loro beniamino detesta) forse avrebbero gradito un arrivo un po’ più pomposo, ma l’Obama odierno, malgrado un passato di indubbio prestigio, non è più il Mister President di prima e la sobrietà non può che essere accreditata al suo buon gusto.
Del resto la gente comune della sua terra d’origine, non si cura dell’assenza di fasti. “He’s our man” urla alle telecamere e per rendergli omaggio, tenta addirittura di entrare nel palazzo che lo ospita con una mucca agghindata a festa in suo onore. “E’ stato un grande piacere incontrarla di nuovo”, ha scritto il presidente Kenyatta in un twitter con foto che lo mostra mentre stringe la mano all’ospite. Sì perché la diplomazia, tutto sommato, non è poi altro che la raffinata arte della simulazione e Kenyatta non può certo aver dimenticato che nel suo primo tour africano del 2013, il presidente Obama aveva snobbato il Kenya come chiaro segno dei suoi sentimenti di disapprovazione per come vi veniva condotta la gestione politica.
In quell’occasione, mentre era in visita in Ghana, Obama, non lesinava complimenti a quel governo per gli sforzi e la determinazione, espressi nel combattere la corruzione e nel voler condurre il Paese verso migliori condizioni di vita. “Il Ghana sia d’esempio ad altre nazioni africane – diceva Obama – dove la corruzione e l’accaparramento illecito prosperano a danno della povera gente”. Il riferimento alla sua terra paterna era più che evidente e come tale fu ampiamente ripreso dai media keniani, ma l’Obama odierno, pur se spogliato dal titolo di uomo più potente del mondo, non ha rinunciato, anche in quest’occasione, a bacchettare un po’ la leadership politica del Paese.
“Non bastano le strette di mano davanti alle telecamere – ha detto in breve discorso a K’Ogelo – occorre che a queste seguano fatti concreti che portino benefici alla gente”. Il riferimento all’accordo post-elettorale tra Uhuru Kenyatta e Raila Odinga, non poteva essere più esplicito. Ma a creare ulteriori frizioni con la popolazione e i leader locali, ci ha pensato anche la sorella Auma, che nei preparativi per l’accoglienza all’illustre fratello, ha redarguito senza mezzi termini i suoi concittadini, condannando l’indecorosa abitudine di sollecitare ai VIP strette di mano e aiuti economici.
“Questa brutta abitudine del gonya gonya (stretta di mano, ndr) deve terminare! – ha detto Auma – Andiamo, ragazzi! Durante il periodo in cui mio fratello era presidente degli Stati Uniti e fino a oggi, voi cosa avete fatto per migliorare le vostre condizioni? Non potete continuare a stare qui seduti senza far nulla aspettando solo che Obama arrivi in Kenya!”. Parole dirette e anche un po’ brutali che, peraltro, evidenziano un’abitudine largamente diffusa nel Paese, ma che hanno comunque provocato stizzite reazioni dell’establishment. L’ex vice-governatore della contea di Kisumu, Ruth Odinga, è stata tra le prime a esprimere il proprio risentimento in proposito “Auma, non ha solo insultato la comunità dei luo, ma l’intera Nazione – ha detto – quali opportunità di lavoro, lei e il suo importante fratello hanno offerto alla gente, prima di biasimare le strette di mano?” Un’osservazione, la sua, banale e del tutto fuori contesto, poiché non è né Obama né sua sorella che sono tenuti a realizzare condizioni d’impiego in Kenya, ma è proprio la classe politica cui lei appartiene.
Franco Nofori
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