Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 8 luglio 2018
Il primo ministro etiopico Abiy Ahmed è volato questa mattina ad Asmara per incontrare il presidente eritreo Isaias Afeworki. Un meeting storico, teso a ristabilire quelle relazioni amichevoli e di buon vicinato disintegrate dall’ultima guerra tra i due Paesi combattuta tra il 1998 e il 2000 e continuata fino a poche settimane fa con sporadici scontri di frontiera e accuse reciproche.
Il leader etiopico, appena nominato, in aprile, ha compiuto passi distensivi verso il suo vicino annunciando che avrebbe obbedito alle decisioni dell’arbitrato internazionale secondo cui la cittadina di Badme, occupata dagli etiopici, avrebbe dovuto essere riconsegnata all’Eritrea.
In diverse occasioni Abiy ha ribadito l’urgenza di ricercare una soluzione politica al conflitto ricevendo però dagli avversari segnali contrastanti, come quando ha chiesto una mediazione saudita, fidando sul fatto che il regno wahabita ha buone relazioni con entrambi i Paesi, rifiutata dall’Eritrea.
Anche nel suo Paese il primo ministro non sta avendo vita facile. Il gruppo ultranazionalista Etiopia Tikdem (cioè “Etiopia Innanzitutto”) non ha mai digerito l’indipendenza dell’allora provincia Eritrea proclamata nel 1993 e riconosciuta immediatamente da Addis Abeba, e quindi rifiuta a priori ogni compromesso. Il 23 giugno scorso Abiy ha subito un attentato: una bomba è esplosa durante un comizio di fronte ai suoi sostenitori.
Anche all’interno dell’EPRDF (Ethiopian Peoples’ Revolutionary Democratic Front) la coalizione di partiti che governa il Paese, la nuova politica voluta da Abiy non è accettata da tutti, soprattutto da chi teme che Asmara non sia affidabile ma pronta a tradire gli accordi.
L’Eritrea è più difficile da esaminare. Il gruppo dirigente è assai ristretto e il dibattito – ammesso che ci sia – è riservato nelle stanze del potere dove hanno accesso al massimo una decine di persone.
Il viaggio odierno di Abiy ad Asmara apre la porta a tante speranze ma anche a diverse incognite. Il governo etiopico è tutto sommato abbastanza democratico: c’è una Costituzione, elezioni più o meno libere, una stampa indipendente, anche se non del tutto, un sistema giudiziario che non prende ordini delle autorità, almeno non sempre. EPRDF tiene congressi e al suo interno si dibatte. L’ex primo ministro Hailemariam Desalegn si è dimesso proprio dopo le critiche rivoltegli per aver represso con troppa decisione manifestazioni di piazza contro il governo.
L’Eritrea invece è retta da una crudele dittatura di stampo fascista che non ha mai varato una Costituzione, non tollera critiche e dissensi, sbatte in galera gli oppositori (ministri non in linea compresi), usa il pugno di ferro con la popolazione, ha militarizzato la società in nome delle minacce lanciate dall’Etiopia e ha cancellato ogni parvenza di stampa libera. Isaias Afeworki è al potere dal 1991 e dopo 27 anni non ha nessuna intenzione di andarsene e allentare la morsa della repressione e del controllo severo della polizia segreta.
In questi anni l’intransigenza del regime di Asmara si è scontrata con la realtà. E’ vero che l’arbitrato internazionale assegna Badme all’Eritrea ed è giusto che le truppe di Addis Abeba sgombrino in fretta da quella zona, ma è anche vero che la stessa delibera assegna la maggior parte del territorio conteso all’Etiopia e saranno la truppe del Paese rivierasco a doversi ritirare.
Non solo. Un altro lodo internazionale sul risarcimento dei danni di guerra ha stabilito che la responsabilità del conflitto ricade sull’Eritrea, le cui truppe lo ha scatenato il 6 maggio del 1998. Asmara è stata condannata a risarcire oltre un milione di dollari agli avversari.
Come finora l’Etiopia si è rifiutata di riconsegnare Badme all’Eritrea, finora Asmara si è rifiutata di riconoscere la responsabilità di aver scatenato il conflitto.
E quindi assai complicato per due Paesi con dirigenze così diverse sul modo di intendere la pace e la democrazia, vivere in pace e in simbiosi, come sarebbe ragionevole prima ancora che giusto.
Massimo A. Alberizzi
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