AFRICA

Sud Sudan, Salva Kiir l’ennesimo presidente africano che non vuole lasciare il potere

Dal Nostro Inviato Speciale
Franco Nofori
Nairobi, 4 luglio 2018

L’Africa sembra proprio mettercela tutta per mortificare le attese di pace che tutte le organizzazioni internazionali si augurano per questo sventurato continente. Ora è la volta del Sud Sudan il cui presidente in carica, Salva Kiir, giunto al termine del suo mandato, non ha nessuna intenzione di andarsene e lo scorso lunedì ha proposto al parlamento una modifica della costituzione che gli consenta di restare in carica per altri tre anni, cioè fino al 2021. Accese e immediate sono state le reazioni dell’opposizione che accusa Kiir di un atto illegale basato sull’intimidazione e sul ricatto dell’organo legislativo del Paese.

Il presidente Salva Kiir (a destra) e il suo ex vice Riek Machar, oggi rivale

Il Sud Sudan che è la più giovane nazione del mondo, ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan del dittatore Omar Al Bashir nel 2011, dopo la feroce repressione attuata dall’etnia araba, contro quella di colore che aveva causato migliaia di morti e una situazione di estrema povertà. Al Bashir, tra l’altro è ricercato dal Tribunale Penale Internazionale, per i crimini contro l’umanità commessi dal suo esercito e dalle milizie paramilitari governative in un’altra regione sudanese, il Darfur. Un po’ in forza del mandato di cattura che pende sulla sua testa un po’  per le forti pressioni dell’ONU, si era infine arrivati alla creazione di un Sud Sudan indipendente, ma la soddisfazione per questo successo era destinata a durare quanto una rosa.

Veduta di Juba, La capitale del Sud Sudan

Alla presidenza della nuova nazione era stato nominato Salva Kiir e come suo vice Riek Machar in quello che appariva come un sodalizio d’intenti per sollevare il Paese dalle drammatiche condizioni in cui si trovava, ma solo due anni dopo quest’accordo, i due leader entravano in un aspro contrasto e nel Paese esplodevano violenze e stragi non molto diverse da quelli che la sventurata popolazione aveva subito sotto il regime di Khartoum. Il tragico bilancio è stato di decine di migliaia di morti; oltre tre milioni di sfollati costretti ad abbandonare tutti i loro averi per sfuggire alle violenze, oltre alle torture e agli stupri che avvengono quotidianamente per opera di entrambi gli schieramenti.

Un’atroce immagine della guerra in Sud Sudan: l’indifferenza di fronte alla morte

Dopo i tentativi di negoziazione tenutisi ad Addis Abeba in Etiopia, il 20 giugno, Kiir e il suo rivale Machar hanno pochi giorni fa concordato di cessare le ostilità a partire da sabato scorso, ma lunedì, solo due giorni dopo l’accordo, gli scontri erano già ripresi da parte di entrambi gli schieramenti e anche in questo caso a farne le spese sono stati diciotto civili presi in mezzo al fuoco incrociato dei contendenti. Ad aggravare ulteriormente la situazione, oggi stesso, un convoglio umanitario dell’UNICEF, che portava assistenza alle vittime del conflitto, è stato attaccato da un gruppo di uomini armati in località Mangalla e uno degli addetti al trasporto ha perso la vita. Al momento in cui scriviamo, non sono ancora del tutto chiare le modalità dell’imboscata né a quale fazione appartenessero gli aggressori.

Ormai il mondo ha fatto triste esperienza sulla scarsa affidabilità degli accordi di pace interafricani, ma in questa situazione di acceso confronto e di morti che gli fanno seguito, anche i pallidi tentativi di accordo tra i due contendenti, sono ora vanificati dalla presa di posizione di Kiir che non vuole rinunciare al potere e intende farsi riconfermare alla presidenza grazie a una riforma costituzionale che un parlamento, la cui maggioranza è a suo favore, quasi certamente non gli negherà.

Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@FrancoKronos1

Redazione Africa ExPress

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