Dodoma, 1° luglio 2018
Mary aveva appena quindici anni quando è rimasta incinta. Aveva paura di tornare a scuola perché sapeva cosa sarebbe successo. L’insegnante, appena accortosi che la pancia della ragazza si stava ingrossando, l’ha costretta a fare un test di gravidanza nei bagni della scuola. Il risultato era scontato. Di fronte a tutti compagni Mary ha raccolto le sue povere cose ed è stata espulsa seduta stante. In Tanzania questa è la regola.
Oppressione, punizioni, per un maggiore controllo demografico. Ma non funziona così. Specie nelle zone rurali mancano informazioni, una corretta educazione sessuale e ogni sorta di contraccettivi. Ma ovviamente la crescita smisurata della popolazione è solo colpa delle ragazze: dei giovanotti responsabili non si parla nemmeno.
In Tanzania un quarto delle ragazze tra quindici e diciannove anni sono incinte o hanno già partorito un bimbo. La risposta del governo è dura e senza appello: espulsione dalle scuole pubbliche. Alle giovanissime non resta che frequentare corsi di formazione professionale o iscriversi ad una scuola privata, ma la maggior parte delle famiglie non dispongono dei mezzi necessari per pagare la retta.
Anche se la legge non prevede queste pratiche, molti insegnanti obbligano le studentesse a sottoporsi a test di gravidanza direttamente a scuola e toccano il loro addome, per verificare se portano in grembo un bimbo.
L’anno scorso il ministero dell’Educazione aveva presentato una bozza di linee guida per far rientrare le ragazze a scuola dopo il parto; malauguratamente queste non sono state approvate dal partito al potere, Chama Cha Mapinduzi (CCM), che ha dato il suo consenso solamente per coloro che frequentano ancora le scuole primarie. E il presidente John Magufuli ha rincarato la dose: “Se resti incinta, hai finito”. Un parlamentare che ha osato criticare il pensiero di Magufuli è stato arrestato con l’accusa di aver insultato il presidente.
In passato la riammissione delle ragazze negli istituti era a discrezione del dirigente scolastico, ma oggi nessuno è più disposti a farlo, anzi, recentemente un direttore ha fatto sapere che sarebbe opportuno arrestare le studentesse gravide, perchè “servirebbe da monito”. Prontamente cinque di loro sono state fermate dalla polizia.
A quanto pare queste severe e antiquate punizioni non sono servite per arginare il fenomeno. In Tanzania la percentuale delle ragazze gravide è ben più elevata che nel vicino Kenya, dove alle ragazze madri è permesso di continuare gli studi. Secondo un’indagine governativa, l’undici per cento delle giovani restano incinte dopo uno stupro; non di rado sono ugualmente costrette ad abbandonare la scuola.
La Tanzania non è l’unico Stato africano a punire così duramente le studentesse madri; la Guinea Equatoriale e la Sierra Leone applicano le stesse regole, mentre in Malawi le giovani sono riammesse dopo una sospensione di dodici mesi. In Senegal possono riprendere gli studi solamente se presentano un certificato di buona salute. Solo pochi Paesi, tra loro il Ruanda e il Gabon, incoraggiano le studentesse incinte a non interrompere il loro percorso di studi; in altri ventiquattro Stati, invece, non esiste nessuna norma specifica e la sorte delle ragazze è affidata alle benevolenza di funzionari locali.
Per le giovani donne una gravidanza non voluta rappresenta spesso la fine dei loro sogni. Alcune si sottopongono ad aborti clandestini, altre si sposano, le più finiscono a fare i lavori più umili, qualcuna è costretta a prostuirsi per sopravvivere.
Africa ExPress
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