Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 19 giugno 2018
Venticinque salme sono state trovate in tre fosse comuni nel centro del Mali dopo che l’esercito, nei giorni scorsi, aveva effettuato decine di arresti.
Negli ultimi mesi le forze armate della ex colonia francese hanno spesso annunciato il loro impegno nella neutralizzazione di terroristi nella regione di Mopti (nel centro del Paese). Per questa promessa sono state spesso fortemente contestate e accusate da organizzazioni per la difesa dei diritti umani e dai residenti di soprusi ed esecuzioni extragiudiziali.
La scorsa settimana, l’Associazione per la difesa dei diritti del popolo dei pastori del Kisal ha denunciato l’arresto di venticinque persone della comunità fulani. Un abitante di Nantaka ha riferito che i militari hanno arrestato chiunque incontrassero. Tra lori numerosi songhaï (un gruppo etnico che rappresenta il sette per cento della poplazione maliana). Gli agenti della sicurezza hanno sequestrato telefonini e carte d’identità. I songhaï sono stati liberati quasi subito, mentre i fulani non si sono più visti. Sono stati ammazzati e sepolti.
Allertati dagli spari delle esecuzioni, i residenti hanno perlustrato la zona e hanno scoperto così tre fosse comuni: nella prima c’erano sette cadaveri, nella seconda tredici e nella terza cinque. L’Associazione Kisal ha identificato finora diciotto dei venticinque corpi.
Il ministero della Difesa di Bamako ha aperto un’inchiesta, ma ovviamente non vuole sapere di “esecuzioni” e si giustifica con il fatto che si tratta di una zona molto pericolosa, sottolineando la presenza di terroristi e di uomini armati non identificati.
Nel suo ultimo rapporto anche Antonio Guteress, segretario generale dell’ONU, ha sottolineato che l’esercito maliano in questa regione ha perso molti soldati uccisi dai jihadisti. La sicurezza dei civili è fortemente compromessa anche a causa dei molteplici scontri intercomunitari. Nella sua relazione il capo dell’ONU ha ricordate abusi e esecuzioni sommarie commessi dall’esercito maliano.
Pochi giorni fa la fazione jihadista “Gruppo per il sostegno dell’Islam e dei musulmani”, molto attiva in tutto il Sahel, ha rilasciato un nuovo video nel quale è visibile l’ostaggio francese Sophie Pétronin, rapita in Mali, a Gao, la vigilia di Natale del 2016. La Pétronin è nel Paese dal 2004 ed era la direttrice della ONG svizzera di Burtigny nel Cantone di Vaud, l’Association d’Aide à Gao. Il video è stato rivelato da Site Intelligence Group, specializzato nelle analisi dei filmati dei terroristi.
Nel filmato si vede l’ostaggio francese con un cellulare. Sembra che stesse ascoltando un’intervista registrata. Dapprima si rivolge al figlio Sebastien, subito dopo al governo francese e infine al presidente Emmanuel Macron. Sulla videocassetta appare la data del 7 giugno 2018, ma nemmeno la SITE ha potuto confermare se la datazione è reale. Alla fine della video registrazione si intravvede anche la suora colombiana Gloria Cecilia Narvaez Argoti, rapita nel febbraio 2017.
Durante il suo ultimo viaggio in Mali alla fine di maggio, Guteress ha visitato anche la base del nuovo contingente tutto africano Force G5 Sahel (Mali, Mauritania, Ciad, Niger, Burkina Faso) e ha espresso il pieno sostegno dell’ONU all’operazione anti-jihadisa, sottolineando l’importanza del loro compito: “Non c’è pace senza sicurezza, non c’è sviluppo senza pace”.
Ieri Federica Mogherini, ministro degli Esteri dell’Unione Europea ha incontrato i suoi omologhi del Sahel per la riunione annuale. L’UE è un attore chiave in tutta l’area, impegnata nel settore della sicurezza nel Mali e della regione con tre missioni: “Politica per la sicurezza e difesa comune” (PSDC): EUCAP Sahel Niger (formazione e consigli alle forze di sicurezza del Niger per la lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato); EUCAP (European Union External Action) Sahel Mali (formazione e consigli alle forze di sicurezza maliane per garantire l’ordine democratico) e l’operazione di formazione nel Mali (EUTM) (sostegno e addestramento del personale di comando dell’esercito maliano).
Non solo, Bruxelles è anche tra i finanziatori della Force G5 Sahel, volto a contrastare il terrorismo islamico, in particoloare nelle zone di frontiera. Durante l’incontro di ieri la Mogherini ha sottolineato che la stabiltà e la pace rappresentano il migliore investimento per l’UE.
Bruxelles è tra i primi finanziatori del Sahel con otto miliardi di euro per il periodo 2014-2020. L’impegno dell’Europa non è solo volto alla lotta contro i trafficanti di droga, armi ed esseri umani, ma “gli sforzi devono concentrarsi a promuovere un’economia non legata alla criminalità per creare nuovi posti di lavoro, in particolare per giovani e donne”, ha sottolineato l’alto rappresentante.
Cornelia I Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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