Nouakchott, 8 giugno 2018
Anche se abolita ufficialmente nel 1981, in Mauritania la schiavitù esiste ancora. La ex colonia francese è stato l’ultimo Paese ad aver abolito tale asservimento. Ma solo sulla carta. Una delle forme maggiormente praticata nel Paese è il matrimonio coatto, praticato sin dal XI secolo. Una tradizione talmente radicata nella cultura mauritana, che una prima legge emanata nel 2007, dietro forti pressioni della comunità internazionale, non ha per nulla intimorito gli schiavisti. Le punizioni per il crimine commesso erano infatti troppo miti e, tra l’altro, non venivano quasi mai applicate e i reati non denunciati.
In seguito la schiavitù è stata abolita nuovamente il 12 agosto 2015 e la nuova legge ora la considera come un reato contro l’umanità. Qualche mese fa sono state pronunciate tre condanne severe dal tribunale di Nouadhibou, nel nord-ovest contro alcuni schavisti e le autorità di Nouakchott negano che la schiavitù sia ancora un’usanza largamente praticata nella ex colonia francese.
La società mauritana è ancora suddivisa in caste. I “mauri” bianchi o “beydens”, di origini arabe-berbere, costituiscono la classe dominante, mentre gli haratines e gli afro-mauritani appartengono alla “classe inferiore” e non hanno quasi mai potuto occupare posti di prestigio nella società. E lo status di schiavo viene ancor oggi tramandato da madre in figlio. La schiavitù essite ancora in questo angolo di mondo e non di rado i militanti antischiavisti vengono arrestati e finiscono nelle luride galere.
Secondo Global Slavery Index ancora oggo l’1,06 per cento, ossia quarantatremila mauritani su una popolazione di poco più di quattro milioni, non sono persone libere. Per questo e altri motivi i membri della maggiore organizzazione anti-schiavista “Iniziativa per la Rinascita del Movimento Abolizionista” (IRA Mauritanie), spera di estromettere la maggioranaza araba-berbera dal governo alle prossime elezioni. Biram Ould Abeid, un haratine che è stato imprigionato per anni, è arrivato secondo alla scorsa tornata elettorale nel 2014, vinte nuovamente dal presidente Mohamed Ould Abdel Aziz, salito al potere con un colpo di Stato nel 2008.
Sono ancora pochi gli schiavi che denunciano i loro padroni, perchè sono stati educati a dover rispettare e sottomettersi al padrone. Una volta liberi, gli ex schiavi spesso fanno fatica a tirare avanti. Senza istruzione e titolo di studio, difficilmente trovano un’occupazione stabile e sono dunque costretti ad accettare lavoretti occasionali; i più vivono nelle periferie povere delle grandi città, con la speranza di dare un futuro migliore ai propri figli.
Il fotografo Seif Kousmate ha intervistato per un mese schiavi ed ex schiavi. Durante questo periodo è stato arrestato, la polizia ha confiscato il suo cellulare, il pc e le SIM card. Qui di seguito riportiamo alcune delle persone da lui fotografate e intervistate.
Fatimatou e sua figlia Mbarka erano le schiave di una famiglia nella regione di Aleg, che dista duecentocinquanta chilometri dalla capitale. Doveva portare le capre al pascolo, cucinare per i padroni, tenere in ordine la casa e portare l’acqua dal pozzo. “Ho perso due figli perchè non potevo occuparmi di loro, ho dovuto riprendere il lavoro immediatamente dopo il parto”, ha raccontato Fatiatou. E’ stata liberata nei primi anni novanta dall’organizzazione SOS Slaves. Oggi vive con la sua famiglia nella periferia di Nouakchott.
Habi e Bilal, sono due gemelli, ex schiavi presso una famiglia nella capitale. Bilal è scappato dopo essere stato malmenato dal padrone. Per molto tempo ha cercato di riscattare la sorella, vittima di abusi sessuali e lavori forzati; è riuscita finalmente a liberarla nel 2008 con l’aiuto di SOS Slaves. Anche loro vivono in un quartiere periferico, dove recentemente, grazie ad alcuni attivisti, Bilal ha aperto una piccola officina per il cambio di gomme.
Moctar è nato in schiavitù e fino all’età di tredici anni era costretto a lavori molto pesanti insieme alla mamma ed il fratello. Nel 2012 è riuscito a scappare e grazie all’aiuto di un attivista ha cercato di liberare anche i familiari, ma si sono rifiutati. Hanno preferito rimanere con i padroni. Il giovane ha iniziato gli studi appena libero. Spera di potersi iscrivere in giurisprudenza, diventare avvocato e lottare per i diritti della sua gente.
Gli haratine, anche se liberi, svolgono mestieri che gli arabi-berberi considerano degradanti e sporchi, come, per esempio, il lavoro nei mercati locali, sono operatori ecologici oppure macellano il bestiame e quant’altro.
La maggior parte delle donne sono discoccupate. Recentemente alcune ex schiave hanno trovato un’occupazione presso laboratori di Sos Slaves, dove imparano il cucito e il ricamo. Gli operatori dell’organizzazione tengono anche dei piccoli corsi volti ad insegnare il significato e l’utilizzo del denaro, perchè come schiavi non hanno mai posseduto nemmeno un centesimo.
AfricaExPress
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