Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 6 giugno 2018
Mossa a sorpresa dell’Etiopia che ha annunciato di essere pronta ad applicare gli accordi di Algeri, il trattato di pace che, tra l’altro, prevedeva il ricorso all’arbitrato della Corte di giustizia dell’Aja per stabilire i confini con l’Eritrea.
Due anni dopo la fine del conflitto durato dal 1998 al 2000, infatti, nel 2002 la Boundary Commission, aveva emesso il suo verdetto secondo cui la frontiera doveva essere leggermente modificata. Assegnava all’Eritrea il villaggio di Badme ma l’Etiopia avrebbe ottenuto dei vantaggi territoriali, seppure leggeri.
Subito dopo la pubblicazione della decisione della Corte, l’Etiopia aveva manifestato grande entusiasmo ma, dopo un paio di giorni, appena i suoi dirigenti si erano resi conto che, per rispettare il verdetto, le loro truppe avrebbero dovuto ritirarsi da Badme, avevano fatto marcia indietro rifiutandosi di applicare la sentenza, definita penalizzante e iniqua.
Badme non ha alcuna importanza strategica; è un povero villaggio in mezzo a una pietraia desolata e arida. Ma ha un grande significato simbolico. Il 6 maggio 1998, allo scoppio della guerra, era stata occupata dagli eritrei. L’attacco a sorpresa di un commando inviato da Asmara aveva causato la morte dei componenti di una delegazione etiopica che stava discutendo con la controparte eritrea proprio le questioni di confine lasciate aperte dopo l’indipendenza del Paese rivierasco. Due anni dopo, sempre in maggio, con una violenta controffensiva, i soldati etiopici avevano riconquistato Bedme e erano avanzati in territorio eritreo fino alle parte di Asmara. Erano stati fermati dalle pressioni delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, e avevano accettato poco dopo, di ritirarsi sulle posizioni che occupavano fino al 1998. Il 18 luglio 2000 era stato firmato il cessate il fuoco e il 12 dicembre il trattato di pace, firmato ad Algeri dai due ministri degli Esteri: Seyum Mesfin, per l’Etiopia, e Haile Woldetensae, detto Duro, per l’Eritrea.
In quasi due decadi durante le quali Addis Abeba si è rifiutata di obbedire agli ordini della Corte di Giustizia, Asmara ha giustificato il suo militarismo sfranato con la minaccia del Paese limitrofo intenzionato a invaderla per assicurarsi un accesso al mare. Il dittatore che governa ad Asmara, Isaias Afeworki, ha cacciato in galera tutti gli oppositori e i ministri che avevano manifestato il loro dissenso contro la decisione scellerata di scatenare la guerra con il potente vicino e che chiedevano riforme democratiche. Tutti eroi della guerra di indipendenza contro l’Etiopia, durata da 1960 al 1991, e tutti ingoiati dalle carceri del regime e spariti nel nulla. Haile Woldetensae è morto nel febbraio scorso cieco e malato.
L’Eritrea si è quindi sempre rifiutata di implementare il processo di pace (anzi, ha tenuto accesa la guerra latente) finché le truppe etiopiche non si fossero ritirate da Badme. Durante questi anni le scaramucce sulla linea di demarcazione dei due Paesi sono state quotidiane.
L’Eritrea si è sempre presentata come vittima, aggredita dal potente vicino, ma nell’agosto del 2009 è arrivato un altro verdetto dei giudici interazionali sui risarcimenti dei danni di guerra secondo cui a scatenare il conflitto era stato l’attacco a sorpresa del 6 maggio 1998 a Badme. Questa la sentenza penalizzava l’Eritrea: a fronte di un risarcimento che Addis Abeba avrebbe dovuto pagare ad Asmara di 164 milioni di dollari, Asmara ne avrebbe dovuti corrispondere ad Addis Abeba 174, con un disavanzo a favore dell’Etiopia di 10 milioni di dollari, che ovviamente l’Eritrea si è ben guardata dal versare al nemico.
La notizia odierna, secondo cui Addis Abeba intende accettare il giudizio della Corte dell’Aja, e quindi ritirarsi da Badme giunge, tra l’altro, subito dopo che il nuovo primo ministro, Abiy Ahmed, durante una sua recente visita in Arabia Saudita, aveva chiesto aiuto al principe ereditario, Mohammed bin Salman, proprio per aprire trattative con il regime di Asmara. Il premier aveva precisato che, in rispetto al trattato di Algeri, le parti avrebbero potuto ridiscutere la questione.
Ma non solo. Abiy ha anche promesso di aprire ai privati e agli investimenti stranieri l’economia finora a gestione statale e completamente asfittica. In particolare ha parlato dei settori, energia, aviazione e telecomunicazioni.
L’annuncio di Addis Abeba di applicare il trattato di Algeri, apre nuove prospettive alla pace nel Corno d’Africa, anche se è presto per capire se la decisione avrà un impatto efficace. Infatti se l’opposizione clandestina ad Asmara si è mostrata entusiasta (come segnala il sito asmarino.com edito in Occidente), nessun commento è ancora arrivato dal regime eritreo, che ora potrebbe trovarsi in una posizione di forte imbarazzo e trovare un’altra scusa per respingere la proposta di pace. La dittatura si regge proprio perché la propaganda interna, per giustificare la propria esistenza e la feroce repressione, dipinge gli etiopi come il pericolo continuo e imminente da cui difendersi. La pace con il vicino potrebbe voler significare il collasso della dittatura. Una prospettiva disastrosa per i sanguinari gerarchi del regime che, tra l’altro, rischierebbero di essere giudicati dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità.
Massimo A. Alberizzi
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