Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 29 maggio 2018
Il presidente della Repubblica Centrafricana, Faustin Archange Touadéra, ha partecipato in questi giorni al Forum economico a San Pietroburgo, dove è stato ricevuto personalmente dal leader russo, Vladimir Putin.
Da diversi mesi i due governi hanno intensificato i loro rapporti e durante l’ultimo incontro il presidente russo ha sottolineato: “Saremo felici di collaborare con questo Paese e prevediamo diversi interventi per rinforzare le nostre relazioni, in particolare in campo economico ed umanitario, sopratutto nella formazione del personale”.
Mosca non ha mai fatto un segreto del suo interesse per i ricchi giacimenti minerari del Paese e pur di accaparrarsi una gorssa fetta nel settore, è pronta a tutto. Pare che abbia persino inviato degli emissari per aprire un dialogo con i capi di alcuni gruppi armati nel nord e nell’est del CAR, ma a quanto sembra senza successo. Per salvare le apparenze, Putin gioca la carta degli aiuti umanitari, come l’invio di ospedali prefabbricati, destinati al nord, tramite convogli partiti dal Sudan. In aprile ha fatto avere anche aiuti alimentari al travagliato quartiere musulmano PK5 di Bangui, dove solo pochi giorni fa sono morte dodici persone a causa dell’esplosione di una granata. Questo rione della capitale è nuovamente teatro di terribili violenze dal passato aprile.
La scorsa settimana si è recata a Bangui Fatou Ben Souda, presidente della Corte Penale Internazionale dell’Aja, per intensificare la collaborazione giudiziaria tra la Corte Internazionale e la Cour Pénale Spéciale (CPS), istituita per giudicare i crimini di guerra commessi in questi anni nella nazione dell’Africa centrale. Le autorità centrafricane hanno nominato da tempo dei giudici internazionali e nazionali e istituito, appunto, una corte criminale speciale, il cui procuratore è Toussaint Muntazini Mukimapa, un magistrato militare del Congo-Kinshasa, per far luce sui delitti e le atrocità commesse, dare un nome e cognome ai responsabili.
La popolazione è allo stremo, sopravvivere è ritenuto già un lusso. I decessi dei nascituri sono continui. Secondo dati raccolti dalle organizzazioni non governative, un bambino su ventiquattro muore durante il primo mese di vita. Il Centrafrica, dove si consuma un sanguinoso conflitto interno dalla fine del 2012, è tra i Paesi con la più alta mortalità neonatale al mondo, mentre il tasso di quello infantile (bambini che non sopravvivono al quinto anno di vita) è del centoventiquattro per mille.
Cifre allarmanti, dovute sopratutto alla mancanza cronica di medici e specialisti. Secondo i dati dell’UNICEF, oltre la metà delle strutture sanitarie del CAR sono gestite da personale non qualificato o da volontari. A Boali c’è un solo medico generico, assistito da venticinque operatori sanitari, ma solo nove sono infermieri professionali, per una popolazione di trentatremila abitanti. Generalmente le donne vengono nel consultorio di maternità una sola volta durante la loro prima gravidanza, poi spariscono, sopratutto per i costi troppo elevati. Medicinali, visite, ricoveri, parti sono a carico dei pazienti.
Qui un parto costa più o meno 1,5 euro, moltissimo per un Paese dove oltre il settantacinque percento della popolazione vive in condizioni di povertà estrema, vale a dire con 1,9 dollari al giorno, secondo la Banca Mondiale. Alle spese per l’ospedale bisogna aggiungere quelle per il trasporto.
Ma molte future mamme arrivano a piedi, anche da molto lontano e se ne vanno poco ore dopo il parto, sempre sole e a piedi, con il neonato in braccio.
Nella capitale la situazione è un po’ meno peggio, ecco perchè i casi più disperati – ovviamente soltanto per chi ha i mezzi finanziari – vengono indirizzati all’ospedale di Bangui, che dispone anche di incubatrici e di medici specializzati in pediatria, gli unici in tutto il Paese.
In tutta la Repubblica Centrafricana, con i suoi 4,5 milioni di abitanti, il servizio pubblico ha a disposizione solamente cinque pediatri, sette medici specializzati in ginecologia e ostetricia – tutti residenti nella capitale – e trecento ostetriche. Ma anche a Bangui la situazione resta precaria, perchè i mezzi a disposizione sono pochi, pochissimi. E’ un Paese dove bisogna nascere sani per sopravvivere.
La crisi dell’ex colonia francese comincia alla fine del 2012: il presidente François Bozizé dopo essere stato minacciato dai ribelli Séléka (il maggioranza musulmani) alle porte di Bangui, chiede aiuto all’ONU e alla Francia. Nel marzo 2013 Michel Djotodia, prende il potere, diventando così il primo presidente di fede islamica (nonostante il nome) del Paese. Dall’ottobre dello stesso anno i combattimenti tra i cristiano animisti anti-balaka e gli ex-Séléka si intensificano e lo Stato non è più in grado di garantire l’ordine pubblico, Francia e ONU temono che la guerra civile possa trasformarsi in genocidio. Il 10 gennaio 2014 Djotodia presenta le dimissioni e il giorno seguente parte per l’esilio in Benin. Il 23 gennaio 2014 viene nominata presidente del governo di transizione Catherine Samba-Panza, ex-sindaco di Bangui.
Il 15 settembre 2014 arrivano anche i caschi blu dell’ONU della Missione Multidimensionale Integrata per la Stabilizzazione nella Repubblica Centrafricana. Le forze dell’Unione Africana del contingente MINUSCA, presenti con 5250 uomini (850 soldati del Ciad hanno dovuto lasciare il Paese qualche mese prima, perché accusati di aver usato la popolazione come scudi umani) affiancano le truppe francesi dell’operazione Sangaris. Con la risoluzione 2387 (2017) del 15 novembre 2017 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU rinnova il mandato di MINUSCA fino a novembre 2018. Attualmente (situazione al 15 maggio 2018) il contingente internazionale conta 14.519 uomini: 10.667 militari e 2.033 poliziotti, 136 osservatori militari, 283 ufficiali di Stato maggiore, 642 personale civile internazionale, 518 personale civile locale e 2030 volontari dell’ONU. Il 31 ottobre 2016 la Francia ha ufficialmente ritirato le sue truppe dell’operazione Sangaris, che si è protratta per tre anni.
Il mandato di MINUSCA prevede, tra l’altro, la protezione della popolazione civile, in particolare donne e bambini, inoltre deve appoggiare il governo di Bangui per contribuire a consolidare l’autorità dello Stato su tutto il territorio, con l’aiuto delle forze di sicurezza nazionali, addestrate dall’European Union External Action (EUTM-RCA).
Cornelia I. Toelgyes
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