Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 23 maggio 2018
Adama Barrow, il presiedente del Gambia, eletto democraticamente il 1° dicembre 2016, dopo la dittatura di Yahya Jammeh, durata ben ventidue anni, è giunto a Bruxelles ieri mattina per la conferenza internazionale dell’Unione Europea e del governo del suo Paese.
Durante l’incontro, presieduto congiuntamente dal responsabile europeo per gli esteri, Federica Mogherini, e dal leader del Gambia, la comunità internazionale ha dato il via libera al finanziamento di 1,45 miliardi di euro a sostegno del piano di sviluppo nazionale del Paese, diretto ad aiutare la sua transazione verso la democrazia. La Mogherini ha promesso un ulteriore finanziamento di centoquanranta milioni di euro, che si aggiungono ai duecentoventicinque già messi in campo all’inizio del 2017.
Dopo aver vinto con il 43,3 per cento delle preferenze le presidenziali, lo United Democratic Party, il partito di Barrow, ha vinto anche le legislative poco più di un anno fa e dunque il nuovo governo dovrebbe avere tutte le carte in regola per poter lavorare nella giusta direzione. Ma bisogna tener conto della pesante eredità che Jammeh ha lasciato. La gestione dei fondi pubblici era finalizzata all’arricchimento di se stesso, della sua famiglia e prima di partire per l’esilio in Guinea Equatoriale il dittatore ha svuotato quasi completamente le casse della ex colonia britannica.
Recentemente il governo di Banjul ha messo in vendita alcuni aerei e autovetture di lusso acquistate da Jemmeh durante la sua lunga tirrania, per cercare di saldare parzialmente la montagna di debiti, eredità che il dittatore ha lasciato al nuovo esecutivo del Paese. Ancora oggi oltre la metà della popolazione vive in miseria ed è per questo motivo che molti giovani scappano per raggiungere i porti della Libia e imbarcarsi verso le nostre coste.
Anni di terrore e di fame lasciano il segno in un popolo. Non si dimenticano facilmente le sparizioni, gli arresti extragiudiziali, le torture e altri terribili reati commessi nei confronti di coloro che si permettevano di opporsi all’ex dittatore durante il suo spietato regime.
Jammeh è stato al potere per ventidue anni. Prima l’ha “conquistato” con un colpo di Stato nel 1994, poi è stato rieletto nel una prima volta nel 1996 grazie a “libere e democratiche elezioni”, chiaramente truccate. Si è anche convertito all’islam, forse per ottenere più consensi, visto che la maggior parte della popolazione è musulmana. Il suo regime è stato accusato di sparizioni forzate, arresti extragiudiziari, morti sospette, accanimento contro i media, violazione dei diritti fondamentali dell’uomo e repressione verso i suoi difensori dei diritti dell’uomo, violazione dei diritti fondamentali dell’uomo, per non parlare del suo odio atavico verso gay e lesbiche.
Il Gambia è una lingua di terra, un’enclave all’interno del Senegal e conta solamente 1,849.000 abitanti e il Paese è spesso anche transito di migranti. Nel luglio del 2005 sono spariti nel nulla oltre cinquanta persone provenienti da diversi Stati africani, diretti verso l’Europa. Tra loro c’erano cittadini nigeriani, senegalesi, ivoriani e quarantaquattro ghanesi, tutti quanti ammazzati in Gambia in cicostanze pocho chiare.
Allora la questione aveva suscitato grande scandalo in Ghana, ma Jammeh era riuscito ad insabbiare il tutto. Ora, tredici anni dopo, un gruppo di organizzazioni per la difesa dei diritti umani ghaniane e le famiglie delle vittime hanno chiesto al governo di Accra di aprire un’inchiesta sulla base di nuovi elementi di prova – un rapporto venuto alla luce dopo tanti anni – e di avviare procedimenti giudiziari nei confronti dell’ex presidente di questo piccolo Paese, oggi in esilio in Guinea Equatoriale, per le sue implicazioni nel massacro di questi giovani.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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