Franco Nofori
Mombasa, 20 maggio 2018
Nel 1990 la popolazione mondiale ammontava a 5,3 miliardi. Oggi è salita a 8,5 e nel 2050 si attesterà su 9,7 per arrivare, nel 2100, a ben 11,2 miliardi di abitanti. Cifre da capogiro se si pensa che all’inizio del secolo scorso il numero mondiale degli abitanti non raggiungeva i due miliardi. E’ stimato che le risorse naturali del pianeta, benché non ancora totalmente sfruttate (soprattutto in campo agricolo) non saranno più in grado di fornire l’alimentazione essenziale a chi lo abita. Per quanto riguarda l’acqua – elemento vitale, sia per l’utilizzo domestico, sia per quello agricolo e animale – la sua drammatica mancanza si sta già avvertendo da diversi decenni.
Questo fenomeno di crescita demografica, nel suo evolversi, presenta anche seri aspetti antitetici: il diffondersi dell’urbanizzazione, per ospitare i nuovi abitanti della terra, sottrarrà fatalmente terreni allo sfruttamento agricolo; saranno abbattute foreste, incorrendo così in una sempre maggiore mancanza dell’ossigeno che respiriamo; la povertà, soprattutto in Africa, provocherà imponenti esodi verso le nazioni più ricche e progredite originando scontri tra culture e religioni radicalmente diverse, cui seguiranno sempre più marcate reazioni d’intolleranza e di sciovinismo.
Mentre le nascite nel mondo occidentale calano, l’Asia e l’Africa appaiono come i due continenti in cui la natalità cresce più vertiginosamente. Il trend attuale fa prevedere che nel 2050 il 60 per cento della popolazione mondiale sarà costituito da asiatici e il 20 per cento da africani. La capolista di questa classifica è l’India che in meno di due lustri si prevede supererà anche la Cina diventando la nazione più popolata del mondo. Tuttavia, anche se non raggiunge la leadership della natalità, è l’Africa ad apparire la più danneggiata dalla sovrappopolazione.
Negli ultimi cinquant’anni, la maggior parte dei paesi asiatici ha dato il via a un formidabile progetto d’industrializzazione. I suoi prodotti hanno rapidamente conquistato i mercati mondiali sostituendo, o fagocitando, quelli delle più importanti imprese occidentali i cui marchi sono andati via via scomparendo. Pur non rinunciando a biasimare alcuni comportamenti di questa nuova imprenditoria (eccessivo sfruttamento del personale, assenza o inadeguatezza di tutele sociali, scarsa attenzione ai diritti umani, qualità spesso scadente, conocorrenza sleale) sul piano pratico occorre dare atto che, rispetto alla disperata povertà che affliggeva l’Asia nel primo quarto del secolo scorso, oggi le condizioni di vita di gran parte dei suoi abitanti, ha fatto passi da gigante.
Questo non è avvenuto in Africa, se non in misura del tutto marginale. Ataviche credenze tribali, ritualità che soffocano ogni stimolo al progresso, radicate ossessioni superstiziose, corruzione endemica e incontrastabile; impediscono a questo continente di decollare e di poter conquistare, dopo l’indipendenza e l’autodeterminazione politica, anche l’autonomia economica. Nigeria, Congo, Etiopia, Tanzania, Uganda e Kenya, sono le nazioni più affette da una natalità incontrollata. La Nigeria, che in Africa mostra il più rapido ritmo di crescita, salirà presto al terzo posto mondiale, superando gli Stati Uniti.
Inoltre, mentre i governi di Cina, India e Indonesia, stanno almeno tentato di limitare le nascite con l’adozione d’idonee misure. Nulla si fa in Africa dove la proliferazione è selvaggia nella quasi totale assenza di una qualsiasi regolamentazione. I maschi africani che riconoscono la propria paternità, sono una minoranza e continuano indisturbati a ingravidare donne diverse, dileguandosi immediatamente dopo averlo fatto. Questo crea un esercito di orfani che le madri, rimaste sole ad accudirli, non riusciranno a nutrire convenientemente, né a fornire loro un’adeguata educazione scolare.
Nella concezione del “macho” africano, fare molti figli e un segno di virilità e più sono le donne ingravidate, più aumenta l’orgoglio per l’impresa compiuta. Qualche anno fa, un facoltoso ottantenne della tribù dei luo (etnia nord-occidentale del Kenya), si vantava davanti alle telecamere di una TV locale, di aver messo al mondo oltre cento figli e neppure ricordava quante erano state le donne che avevano collaborato alla bisogna. I suoi compaesani gli avevano appioppato il nomignolo di “Okuku” che in lingua locale significa “pericoloso”, ma lui se ne rideva affermando con orgoglio che il suo soprannome era per tutti “The Bull” (il toro) e che, benché ottuagenario, aveva appena ingravidato una ragazza non ancora ventenne, sua ultima “conquista”.
Il dato dell’incremento demografico africano è aggravato dall’alta mortalità infantile e dalla bassa aspettativa di vita che oscilla tra i cinquantaquattro e i cinquantotto anni. In queste condizioni, tra guerre, ignoranza, corruzione, povertà e malgoverno, è davvero difficile che l’Africa possa affrancarsi da questo stallo per sfruttare le immense risorse potenziali che possiede. L’alternativa resta quindi quella di fuggire verso altri lidi, come quelli europei che, in una certa misura, avrebbero anche bisogno di loro per sopperire alla crescita demografica europea, attestata ormai da anni sullo zero, ma occorre che quest’accoglienza sia regolamentata e monitorata, perché possa rivelarsi di comune beneficio sia agli africani, sia agli europei, evitando gli esplosivi contrasti che si stanno oggi riscontrando in ogni parte del vecchio continente.
Al problema della sovrappopolazione, si stanno dedicando decine di organizzazioni internazionali, tra queste anche L’UNPF (United Nation Population Fund), ma il problema è immenso e i risultati, almeno finora, sono meno che scarsi. Si parla di manipolazione genetica delle colture per accrescerne la produzione, ma anche facendolo, occorrerebbe prima incoraggiare l’agricoltura con progetti d’irrigazione, finanziamenti agevolati e attrezzature idonee. Purtroppo la maggior parte dei proventi africani (aiuti internazionali inclusi) finiscono nelle tasche delle sue leadership e la questione si mantiene irrisolta.
I grafici sopra riportati dimostrano la gravità della situazione e implicano anche una prossima e inevitabile conseguenza: la razza caucasica (la nostra) è destinata a scomparire fondendosi con quelle dei paesi emergenti. Ci vorranno secoli e non è detto che questo sarà un evento negativo, ma occorre che se ne abbia coscienza, lo si accetti, se ne prevedano le possibili frizioni e lo si pianifichi con attenzione, evitando che avvenga in modo traumatico, come sta già purtroppo accadendo oggi in tutta Europa.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@FrancoKronos1
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"la razza caucasica (la nostra) è destinata a scomparire fondendosi con quelle dei paesi emergenti. Ci vorranno secoli e non è detto che questo sarà un evento negativo, ma occorre che se ne abbia coscienza, lo si accetti, se ne prevedano le possibili frizioni e lo si pianifichi con attenzione, evitando che avvenga in modo traumatico"
Non vedo proprio come sia possibile accettare il nostro genocidio, e addirittura arrivare a pretendere che non avvenga in modo traumatico.Questa è pura follia criminale.
Sarebbe meglio piuttosto iniziare ad accettare l'idea che a questi ritmi di crescita, per quanti immigrati si facciano entrare in Europa, questo non farà la minima differenza sulla situazione disastrosa del continente africano, anzi. Invece di migliorare la loro situazione, peggiorerebbe quella di entrambe.
In Europa non abbiamo bisogno di loro per risolvere la questione demografica, basta risolvere i problemi economici causati dall'UE.
Gli africani dovrebbero fare lo stesso nei loro paesi se vogliamo avere la minima possibilità di lasciare ai posteri un pianeta decente, anziché un mondo sovrapopolato.
Assolutamente vergognoso che invece di chiedere a gran voce una soluzione a questo gravissimo problema si faccia invece apologia di genocidio. Provate ad immaginare se invece di chiedere di accettare la scomparsa "della razza caucasica (la nostra)", si chiedesse di accettare la scomparsa di qualsiasi altra razza... affermando che "non è detto che sarà un evento negativo".
Ottima domanda Realista, ottima domanda.