Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 17 maggio 2018
Jean-Marie Michel Mokoko è stato condannato a vent’anni di carcere lo scorso 11 maggio dal tribunale di Brazzaville. Una pena pesante, volta a far sparire una volta per tutte l’anziano oppositore al regime dalla scena politica del Repubblica del Congo.
A sette altri co-imputati, un congolese – che vive da anni all’estero – e sei cittadini francesi, è stata inflitta la stessa pena in contumacia perchè accusati di complicità di delitti contro la personalità dello Stato; anche loro, come Mokoko si erano rifiutati di riconoscere la rielezione di Denis Sassou Nguesso.
Mokoko, prima di candidarsi alle elezioni del 2016, ha ricoperto l’incarico di capo di Stato maggiore ed è stato anche consigliere dello stesso presidente, al potere da oltre un trentennio. L’ex candidato si era rifiutato di riconoscere il risultato elettorale, la schiacciante vittoria già al primo turno di Sassou Nguesso, motivo per il quale è stato dapprima sottoposto agli arresti domiciliari per un paio di mesi, per poi essere trasferito in carcere in stato di custodia cautelare due mesi più tardi.
In un comunicato congiunto, gli avvocati francesi di Mokoko, Jessica Finelle, Etienne Arnaud e Norbert Tricaud, hanno evidenziato le ripetute irregolarità commesse in violazione del diritto ad un equo processo: istruttoria superficiale, volta ad evidenziare solamente la colpevolezza dell’imputato; detenzione arbitraria; mancata convocazione degli avvocati per alcune udienze; ingerenza continua dell’esecutivo; processo celebrato in presenza di un solo imputato; restrizioni di accesso ai media durante le udienze e altro.
Il pool degli avvocati ricorrerà alla corte di cassazione ed in un secondo tempo sottoporrà il fascicolo alle istituzioni internazionali preposte.
Sono in molti a criticare questa severa condanna. Tra loro anche Herman J. Cohen, ex ambasciatore e ex assistente della Segreteria di Stato staunitense. In un suo twitt chiede a Sassou Nguessou di perdonare e di rimettere in libertà Mokoko, perchè la sentenza è basata unicamente su questioni politiche che contribuiscono a deteriorare i rapporti con la comunità internazionale e a scoraggiare gli investitori.
Il giorno prima della conclusione del processo Mokoko, i vescovi cattolici della ex colonia francese hanno manifestato la loro preoccupazione di fronte alla crisi socio-politica che il Paese sta attraversando da diversi anni. Secondo i prelati la causa profonda del malessere generale è dovuta alla riforma costituzionale del 2015. La modifica del testo ha garantito a Sassou Nguesso di correre per il terzo mandato nel 2016.
Nel loro manifesto i presuli hanno chiesto la liberazione immediata di tutti i detenuti politici e hanno sottolineato la necissità di un sistema giudiziario equo e indipendente. La loro grande preoccupazione è rivolta verso la crescente povertà della gente, il continuo aumento dei prezzi, in particolare quelli di prima necessità. Lamentano il malfunzionamento del sistema scolastico e sanitario, entrambi a pezzi e tutto questo accade in un Paese ricco di petrolio e di giacimenti minerari.
Gli undici vescovi firmatari della dichiarazione puntano infine il dito contro l’inarrestabile corruzione, un cancro che divora risorse e che rende il Paese sempre più vulnerabile.
Cornelia I. Toelgyes
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@cotoelgyes