Franco Nofori
Mombasa, 13 maggio 2018
A sostenere che in Kenya le studentesse universitarie sono criminali, prostitute e portatrici di AIDS non è una malevola voce di popolo, ma l’autorevole CUE (Commission for University Education) che mercoledì scorso ha presentato un esplosivo rapporto alla ministra per l’Istruzione, Amina Mohamed, affinché il governo adotti le necessarie misure atte a contrastare il deprecabile fenomeno.
Secondo gli estensori del rapporto – che si sono pronunciati dopo lunghe e approfondite investigazioni all’interno dei campus – le giovani studentesse universitarie avrebbero creato una vera e propria organizzazione criminale che pianifica ed esegue vari reati, sia nella sfera della competizione politica, sia in quella sociale con la messa a punto di furti, frodi e prostituzione, cui una gran parte delle ragazze si dedicherebbe disinvoltamente mercificando se stesse e organizzando il meretricio con i concetti imprenditoriali, volti a ottimizzare il profitto, appresi nel corso dei loro studi.
Notizia, questa, davvero sconvolgente che fa impallidire la leggenda delle giovani e avvenenti ragazze – immancabilmente autodefinite “studentesse” – che pattugliano bar e discoteche del Paese per rimpinguare il proprio gruzzoletto a caccia di anziani facoltosi, ma ancora soggetti a nostalgici pruriti giovanili. Naturalmente non si tratta di studentesse, ma di semplici ragazze di vita che, impossibilitate a fornire indicazioni sulla loro professione, millantano la frequenza ai corsi universitari. Ora, però, stando al rapporto del CUE, la finzione è scomparsa. Si tratta proprio delle giovani laureande che ricorrono all’antico mestiere. L’unica differenza tra loro e le usurpatrici del titolo e che le prime sembrano saperlo fare in modo molto più efficiente e organizzato.
Lo scopo di queste “diligenti” studentesse, che all’occorrenza sanno trasformarsi in novelle maliarde, non sembra solo quello di far cassa, ma anche di concupire i commissari d’esame per accedere più facilmente – e senza troppo riguardo ai meriti effettivi – ai gradi d’istruzione superiori se non addirittura alla laurea. Il rapporto rivela anche che l’accertamento della realtà, esposta nel documento, è stato oltremodo difficoltoso per la granitica omertà mostrata dall’intero corpo studentesco e – in alcuni casi – anche dagli stessi docenti e commissari d’esame.
Inoltre, secondo il giornalista investigativo Gah Kuu, del quotidiano “The Nation”, le giovani che lasciano le zone rurali d’origine per frequentare le università cittadine, si trovano di colpo catapultate in una realtà molto più permissiva e tentatrice, di quella severa e patriarcale che avevano vissuto fino a quel momento e spesso, trascinate dall’euforia giovanile, si abbandonano alla trasgressione, soprattutto caratterizzata da una nuova e finalmente libera promiscuità sessuale cui si dedicano con crescente disinvoltura motivata dal proprio piacere o dall’opportunità di procurarsi del denaro, poiché quello fornito dalle famiglie è del tutto insufficiente a fornire loro lo status, l’abbigliamento e le divagazioni tipiche di una laureanda di classe.
Questa situazione ha permesso anche al virus HIV di diffondersi rapidamente creando una preoccupante possibilità di contagio nei confronti dei partner occasionali e come loro altrettanto disinvolti nel dedicarsi al sesso non protetto. Accade anche che alcune studentesse, una volta accertata la loro positività all’infezione, si vendichino impietosamente, trasferendola a tutti i partner futuri. Anni fa, una studentessa dell’Universita di Naiorbi, aveva addirittura appeso nella bacheca dell’ateneo un foglio in cui denunciava il suo stato ed elencava i nomi di tutti gli uomini con cui aveva avuto rapporti intimi, augurandosi di aver loro trasmesso l’infezione.
L’intero rapporto fornito dal CUE al governo, che presumibilmente sarà molto più dettagliato e corposo delle scarse notizie fino ad ora fornite dai membri della commissione, sembra – stando almeno a queste parziali informazioni – esclusivamente riferito alle studentesse e non menziona i loro colleghi maschi. Un fatto, questo, abbastanza curioso, la cui singolarità sarà probabilmente spiegata quando (e se) l’intero rapporto sarà reso pubblico.
Insomma, chi riponeva nelle generazioni future – meglio istruite e con più pragmatiche visioni strategiche circa la gestione della cosa pubblica – la speranza di fare uscire il Paese da secoli di arretratezza, incapacità, illegalità e indebiti privilegi, non può che restare amaramente deluso da quanto ha svelato il rapporto del CUE. Se le università di oggi si sono rivelate il cuore dell’apparato nazionale in cui si pianifica e si compie il crimine, quante altre generazioni occorreranno perché il Kenya riesca finalmente a dotarsi di una classe dirigente proba e capace votata a combattere la corruzione, il nepotismo e l’illecito?
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@Franco.Kronos1
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