Costantino Muscau
Milano, 13 maggio 2018
Se non è stato lutto nazionale, poco ci è mancato. Di sicuro è stata, ed è, una vergogna per l’intero Kenya, ma soprattutto per gli abitanti delle culle dei campioni quali sono Eldoret e Iten, (a 350 chilometri da Nairobi) che si sentono anche ingannati e offesi. Un infamante sospetto (per ora) che sfiora, come vedremo, anche l’Italia.
Stavolta nella rete dell’antidoping è finito un pesce molto grosso dell’atletica africana e mondiale.
Si tratta, per giunta, di uno che di professione fa il poliziotto e che una volta, prima di tagliare vittorioso il traguardo, rivolse un plateale saluto al presidente della repubblica Uhuru Kenyatta. E’ lo stesso atleta che così parlò: “Sono felice per aver ottenuto quello che mi spettava. Non è giusto competere con uno che si è dopato. Almeno, però, c’è un po’ di giustizia in questo mondo. Certo, la vittoria in pista ha ben altro sapore di quella assegnata a tavolino. Sono deluso e amareggiato perché al Kenya è stata negata la possibilità di eseguire l’inno nazionale”.
Correva l’anno 2009 quando Asbel Kiprop si vide attribuire , a soli 19 anni, la medaglia d’oro dei 1500 metri che era stata sfilata dal collo del marocchino (naturalizzato bahreinita) Rashid Ramzi, vincitore della distanza ai giochi olimpici di Pechino del 2008.
Rashid era risultato positivo al farmaco “Cera” (più noto come Epo) al test antidoping. E ora lo stesso Asbel Kiprop sarebbe risultato positivo, o, più correttamente, non negativo, al test dell’Epo durante un controllo effettuato nell’autunno scorso lontano dalle gare. L’Epo, o eitropoietina, come è noto, è un farmaco che migliora le prestazioni sportive grazie alla capacità di aumentare il numero dei globuli rossi e quindi il trasporto di ossigeno.
Asbel Kiprop, 29 anni il prossimo 30 giugno, 3 volte campione del mondo di seguito dal 2011 al 2015, una volta campione olimpico (sempre sui 1500 metri), da uno dei simboli dello sport keniota è diventato un mito impolverato, si spera provvisoriamente e ingiustamente.
Sembrava predestinato a essere un numero 1 nella corsa, Asbel Kiprop, quasi prima delle nascita! Già 2 anni prima di vedere la luce, infatti, suo padre, David Kebenei, si classificò quarto ai 1500 metri dei Giochi Panafricani del 1987.
Secondo di 3 figli, Asbel, con un perfetto fisico da runner (ora è alto 1,88 m e pesa 62 chili), si rivelò subito come uno nato per correre. Cominciò a vincere le gare locali già quando frequentava la scuola elementare di Kaptinga, suo villaggio natale a 20 km da Eldoret, dove risiede, nel distretto Uasin Gishu della celeberrima provincia Rift Valley. Il papà però gli impose uno stop in attesa che il suo fisico minuto di sviluppasse e si consolidasse. Kiprop riprese a correre nel 2003, a 14 anni, alla scuola media di Kaptinga , ultimo traguardo della sua carriere scolastica.
Come scrivono Jamese Wokabi e Mutwiri Mutuotanella nella sterminata biografia preparatagli per il sito della Iaaf “Kiprop per volere del padre abbandonò gli studi per concentrarsi sull’atletica. Entrò a far parte del gruppo guidato dal coach Jimmy Beauttah, che aveva allevato illustri campioni come Moses Kiptanui e Daniel Komen Asbel appena 3 anni dopo la sua vita ebbe la svolta decisiva: partecipò alle selezioni per i giochi olimpici junior di Pechino, ma soprattutto fu adocchiato da Martin Keino, figlio del leggendario Kipchoge Keino e lo reclutò nell’ambitissimo Kip Keino High Performance Training Centre di Eldoret”.
Da quel punto in poi è stato un crescendo. Non vogliamo tediare il lettore elencando le gare, i tempi, le vittorie o le quasi vittorie del giovane corridore. E’ roba per specialisti e susciterebbero solo sbadigli.
Basti dire che 20 anni dopo suo padre, Asbel rappresentò il Kenya a Mombasa al campionato del mondo junior di cross Mombasa (specialità che non amava né ama) e vinse pur con le vesciche ai piedi.
Poi sono arrivate le maglie iridate, il successo olimpico, la fama, il rispetto. A dire il vero, 4 anni fa il giovane atleta ebbe un momento di sgradevole notorietà poco sportiva . La sua giovanissima ex fidanzata, Sammary Cherotich, che sarebbe stata messa incinta a soli 16 anni, dette di lui un’immagine sgradevole: “E’ un violento, mi ha picchiata, minacciata con una pistola e rapito il nostro bambino”.
A riferirlo fu un giornale locale. La notizia fece scalpore, anche se i fatti sarebbero accaduti nel 2010-2012. Asbel replicò: “Solo falsità e pettegolezzi”. Tutto finì, pare, in una bolla di sapone. Ma ora.. “Ma ora siamo in lutto nelle campagne e nei centri urbani – ha dichiarato alla Reuters Moses Kipkore Kiptanui, 3 volte consecutive campione mondiale dei 3 mila metri siepi, ora negoziante, facendosi interprete del sentire collettivo -. Questo evento ci ha profondamente colpiti. Eravamo abituati a sentire dei maratoneti che si dopano, ma quando questa accusa tocca uno che corre i 1500 ci lascia scioccati. Tanto più che Asbel Kiprop era visto come un modello dai giovani”.
Conferma, Jonah Kiplagat, 32 anni, maratoneta ritiratosi dall’agonismo in seguito a un infortunio, compaesano di Kiprop ai margini della pittoresca Kerio Valley: “Soffriamo con lui. Qui Asbet è il nostro eroe. Tutte le volte che lo vediamo in auto che attraversa il nostro paese ci sentiamo orgogliosi per la fama che ci ha portato. Ora però siamo sconvolti”. Intendiamoci: Asbel di fronte alla possibilità di essere squalificato per 4 anni si è difeso con le unghie e con i denti. Ha rilasciato una dichiarazione in 20 punti di ben 1386 parole in cui lancia anche accuse pesantissime
Tentiamo di riassumere la sua arringa:
1) sono stato controllato il 27 novembre 2007 lontano dalle gare e mi sarei potuto rifiutare;
2) gli ufficiali antidoping mi hanno avvertito il giorno prima che sarebbero venuti a effettuare il test, il che è contro le regole;
3) gli stessi ufficiali mi hanno chiesto del denaro, forse in cambio del preallarme lanciatomi;
4) forse questo denaro non è bastato e hanno manipolato le provette che avevo lasciato sul tavolo incustodite;
5) la I.A.A.F. (l’associazione internazionale delle federazioni di Atletica) mi ha offerto di diventare suo ambasciatore se in cambio mi dichiaro colpevole.
Al quotidiano londinese Guardian ha poi dichiarato: “Sono stato in prima linea nella lotta al doping in Kenya. Un impegno in cui credo fermamente. Non vorrei certo distruggere tutto ciò che ho costruito da quando, nel 2007, partecipai alla prima gara internazionale. Spero di poter dimostrare in tutti i modi possibili che sono un atleta pulito”. Sarebbe l’ennesimo durissimo colpo alla credibilità dell’atletica in Kenya se Asbel non riuscisse a dimostrare la sua estraneità all’accusa confermata il 4 maggio scorso dall’ Athletics Integrity Unit (AIU), l’organismo indipendente che si occupa dei casi di doping per conto della Iaaf.
Il grande Paese africano è, infatti, diventato la pietra dello scandalo per il suo modo di affrontare la droga sportiva dopo che negli ultimi 5 anni quasi 50 atleti sono stati beccati con le mani nella marmellata. Nel novembre, 2015, l’ex presidente dell’Agenzia mondiale anti doping (Wada) aveva affermato che l’uso di stimolanti proibiti in Kenya fosse una realtà comprovata, tanto da convincere il Regno Unito a cambiare strategia e a non far allenare più i suoi atleti nel Paese africano durante la sessione pre-olimpica. Tuttavia ciò non è bastato a eliminare il bubbone.
Pochi mesi dopo, gennaio 2016, lo sport kenyota è stato scosso dal coinvolgimento di 18 atleti ed è stata messa a rischio la partecipazione alle Olimpiadi di Rio 2016. Lo scandalo ha assunto tinte sempre più fosche con il coinvolgimento anche di Federico Rosa, manager della Rosa&Associati. “Questa è una società di management sportivo, che – come annuncia il sito web – nell’ambito della corsa, seleziona e gestisce oltre 200 atleti di livello mondiale, grazie all’instancabile impegno del proprio staff, guidato dall’esperienza e dalla passione del Dott. Gabriele Rosa e del figlio Federico”. Il tribunale di Nairobi accusò Federico Rosa di essere coinvolto in casi di doping, tra cui quello di Rita Jeptoo, la maratoneta tre volte vincitrice a Boston e fermata nel 2014 dopo esser risultata positiva all’Epo.
Il manager italiano si dichiarò innocente, ma venne arrestato, in Kenya, gli fu ritirato provvisoriamente il passaporto e poi fu prosciolto. In suo aiuto corse proprio Asbel Kiprop: “Lavoro con Federico dal 2008, è innocente, non ho mai visto ombra di doping – dichiarò – se ci fosse stato doping a disposizione me lo avrebbero dato visto che più volte ho lottato per il record del mondo senza raggiungerlo”. Ora di fronte al coinvolgimento proprio di uno dei suoi campioni più amati, Federico Rosa commenta sconsolato: “Se la prenderanno con me, come al solito. Siamo un bersaglio facile io e la mia agenzia. Ma lavoro da 22 anni con gli atleti kenyioti, ne ho avuti 2000 dal ’96. È vero, 5 sono stati trovati positivi e io non sapevo dei loro traffici. Ma è una percentuale più che minima”.
Il sito della Rosa&Associati, lo scriviamo come puro dato di fatto, non ha mai fatto né fa cenno del problema doping in Kenya.
Con Kiprop sarà un dramma, sia che venga provata la sua positività sia che venga dichiarato pulito. E’ comunque sconsolante non condividere le conclusioni cui è giunto il collega di “Repubblica”, Enrico Sisti: “Quello che un tempo era un paradiso ora è un paradiso perduto, quello che era un mondo credibile, il Kenya dell’atletica, la leggendaria cultura podistica di altissimo livello della Rift Valley con tutti i suoi “uomini degli altipiani”, sta scadendo a un mondo perduto”.
Costantino Muscau
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