Franco Nofori
Mombasa, 2 maggio 2018
L’inizio della stagione monsonica in Africa, è atteso come il solito periodo di frequenti precipitazioni che caratterizzano le regioni tropicali: brevi e violenti temporali, subito rimpiazzati dai roventi raggi del sole. Dopo i lunghi e duri mesi di siccità, la pioggia – mvua in swahili – è vista dalle popolazioni rurali come una benedizione divina. All’inizio di aprile hanno seminato il mais (elemento essenziale, alla loro alimentazione) in fiduciosa attesa che la pioggia ne nutra il seme e che il sole lo faccia crescere rigoglioso affinché in luglio lo si possa raccogliere per portarlo alla macina.
Quest’anno però le cose sembrano voler andare in modo ben diverso. Da un cielo che per giorni e giorni si mantiene ostinatamente plumbeo, un diluvio di bibliche proporzioni si è abbattuto con perseverante ferocia su Somalia, Kenya e Tanzania causando sfollati, morti e distruzione. Una volta ancora la natura sembra volersi accanire sulle popolazioni meno abbienti, già afflitte da malattie e miseria, che non possono trovare protezione nelle loro modeste dimore costruite con rami intrecciati e fango essiccato. Al momento in cui scriviamo, nei Paesi dell’Africa Orientale, interessati dal fenomeno, si contano quasi 600 mila sfollati e già 200 morti, senza contare le proprietà private e le numerose attività della micro-imprenditoria locale, inagibili quando non spazzate completamente via da un inarrestabile flusso di acqua limacciosa, pervicace e cieca nel suo progetto distruttivo.
Le persistenti piogge, le esondazioni dei fiumi e i consistenti smottamenti del terreno, non si limitano ai tre Paesi menzionati, ma – anche se in tono minore – riguardano l’intero continente africano e secondo i meteorologi sono i diretti frutti dello sconvolgimento climatico che ha interessato il pianeta in conseguenza dell’inquinamento atmosferico. Effetti che, anno dopo anno, stando incrementando i loro disastrosi effetti sull’assetto planetario e sulla stessa vita di chi lo abita.
Fotografie e filmati, mostrano strade urbane invase da acque tumultuose che sommergono e trascinano con sé ogni cosa: auto, abitazioni, animali e persone. In Kenya, le principali arterie di comunicazione sono state travolte, lasciando al loro posto, enormi e impraticabili voragini fangose. La città di Malindi, cuore del turismo costiero, si è trasformata in una piccola Venezia e le notizie fornite dai meteorologi non ispirano molte speranze di un rapido ritorno alla normalità, visto che, secondo le loro previsioni, le precipitazioni continueranno con la stessa intensità per almeno altri quaranta giorni.
Soprattutto in Somalia, il ricollocamento degli sfollati presenta problemi enormi, anche sotto il profilo sanitario. Il difficile accesso ad assistenza medica, gabinetti e acqua non inquinata, fanno temere l’insorgere di gravi malattie infettive, colera e malaria soprattutto. I flussi alluvionali, s’insinuano nelle fogne e nelle latrine, portando in superfice i loro contenuti infetti che si mescolano alle masserizie domestiche e al cibo. La mancanza di acqua potabile costringe inoltre molti, soprattutto bambini, a dissetarsi con le fetide acque che hanno invaso i loro villaggi. Una vera tragedia per questo sventurato Paese che, a causa di siccità, povertà, conflitti, ha già conosciuto un esodo di oltre un milione e 500 mila perone, mentre quelle bisognose di assistenza alimentare superano i 5 milioni e 400 mila.
In Tanzania, l’ex capitale Dar es Salaam, causa l’insufficiente drenaggio che da quasi un decennio non riceve adeguata manutenzione, si trova sovente invasa dall’acqua anche a fronte di precipitazioni minori di quelle ora in atto ed è facile intuire come l’attuale evento, di portata davvero eccezionale, renda la situazione del tutto insostenibile. Nei tre Paesi colpiti dalla furia di questa natura impazzita, i mezzi di soccorso sono pochi e per giunta gestiti in modo confuso e disorganizzato. Non c’è un competente centro di coordinamento e gli interventi si rivelano per lo più tardivi e inefficaci, favorendo così l’aumento del numero delle vittime.
A Malindi la comunità italiana, molto numerosa, ha organizzato una sottoscrizione per dare una prima assistenza alle popolazioni limitrofe. Un’iniziativa che servirà a portare qualche sollievo alle sventurate famiglie colpite da questa tragedia. Intanto l’ONU, attraverso le sue varie agenzie, le numerose NGO, la Caritas e altre organizzazioni umanitarie, si stanno mobilitando per prestare soccorso in tutte le situazioni in cui questo possa occorrere. Certo è che questa ennesima e imprevista sventura piombata sul continente africano, che ormai già da un intero secolo è prostrato da altri immani problemi, proprio non ci voleva.
Franco Nofori
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