Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 1° maggio 2018
A Brazzaville, la capitale della Repubblica del Congo, si è tenuto il vertice per concretizzare il progetto “Fondi blu” per il bacino del Congo, al quale hanno partecipato domenica scorsa i capi di Stato / governo di ben sedici nazioni africane: Angola, Camerun, Repubblica centrafricana, Repubblica democratica del Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Kenya, Ruanda, Sao Tomé e Principe, Ciad, Zambia, Niger, Giunea, Senegal, oltre naturalmente al padrone di casa, Denis Sassou Nguesso, il presidente della commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki e l’ospite d’onore, Mohammed IV, re del Marocco. L’iniziativa era stata lanciata in occasione della ventiduesima conferenza sul cambiamento climatico a Marrakech (Marocco) dal presidente congolese con il sostegno della Fondazione Brazzaville per la pace e la preservazione dell’ambiente.
Scopo del progetto è la conservazione del bacino del Congo, che abbraccia ben duecentoventi milioni di ettari di foreste. Questa immensa area comprende i più grandi bacini carboniferi al mondo, secondi solo a quelli dell’Amazzonia. La protezione di queste zone boschive, quindi rappresenta un aspetto fondamentale per la riduzione degli effetti causati dal riscaldamento climatico.
Il bacino del Congo è abitato da novantatré milioni di persone ed è ricoperto per il quarantacinque per cento da dense foreste. L’iniziativa “Fondi blu” ha progetti ambiziosi, non solo per la salvaguardia del territorio, ma anche per supportare l’economia locale e miglioarare la qualità della vita degli abitanti: adeguamento delle vie fluviali navigabili, costruzione di impianti idroelettrici a basso impatto ambientale, lotta contro la pesca illegale, sviluppo dell’ecoturismo e potenziamento dell’irrigazione agricola. Pertanto si dovrebbe passare dallo sfruttamento intensivo delle foreste a uno sviluppo durevole delle regioni che toccano il Congo e i suoi affluenti.
Poco più di un anno fa dodici Paesi africani si erano riuniti a Oyo (Congo) per siglare l’accordo sulla creazione dei “Fondi blu” . Oltre al Congo Brazzaville, i Paesi firmatari del Fondo erano: Angola, Burundi, Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Ruanda, Congo-Kinshasa, Tanzania, Zambia e Marocco.
Durante il vertice del 29 aprile scorso i Paesi firmatari del primo concordato hanno siglato un protocollo d’intesa sulla Commissione ambientale del Bacino del Congo e i donatori sono stati invitati ad iniziare a finanziare il progetto: previsto in cento milioni di euro l’anno con impegni a lungo termine. I capi di Stato e di governo hanno chiesto anche all’UA di partecipare al progetto; un appello in tal senso è stato anche lanciato alla comunità internazionale, all’ONU e alle fondazioni filantropiche che operano nel settore e naturalmente anche a tutti gli investitori privati.
Governanti africani sensibili, teoricamente attenti ai problemi dell’ambiente e della gente, peccato solo che Jospeh Kabila, presidente della Repubblica democratica del Congo, abbia autorizzato la prospezione di giacimenti petroliferi all’interno del parco nazionale Salonga, che fa parte del bacino del Congo https://www.africa-express.info/2018/02/19/congo-k-guerra-etnica-nel-nord-est-e-si-cerca-petrolio-un-parco-protetto-dallunesco/.
Anche altrove le cose non vanno molto meglio. Nel maggio 2017, dopo il lancio dei “Fondi blu”, il governo di Brazzaville ha rilasciato nuove concessioni aurifere nel Sangha e Kouilou.
Le rispettive autorizzazioni sono state consegnate dopo la firma del trattato dal governo di Brazzaville a due società, la Yatai e la First Republic. Entrambi i dipartimenti della ex colonia francese – Sangha e Kouilou – dispongono di svariati giacimenti, ma l’estrazione finora è quasi sempre avvenuta in modo artigianale e a tutt’oggi i risultati sono stati piuttosto magri. Il governo ritiene che grazie ad uno sfruttamento più mirato e scientifico i giacimenti possano portare risultati migliori. Ma le miniere inquinano, difficilmente rispettano l’ambiente e per la loro realizzazione bisogna abbattere preziosi alberi. Peccato, è proprio questo che la Commissione ambientale del bacino del Congo si è prefissata di evitare.
Cornelia I. Toelgyes
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