Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 30 aprile 2018
Khalīfa Belqāsim Ḥaftar, l’uomo forte della Cirenaica, come spesso viene chiamato, è ritornato a Benghasi giovedì scorso, con un volo proveniente dal Cairo. Durante il suo ricovero, in un ospedale giordano prima, in un altro militare francese nei pressi di Parigi poi, è stato detto di tutto: una volta giaceva in coma dopo un ictus cerebrale, qualcuno lo aveva dato addirittura per morto, altri ancora avevano dubbi sulle sue facoltà mentali in seguito alla presunta ischemia.
Tutte dicerie, a quanto sembra, visto che il settantacinquenne generale è sceso dall’aereo a passo veloce in un elegante abito scuro, accolto dai suoi generali e simpatizzanti. Haftar non era più apparso in pubblico da ben tre settimane, ma al suo arrivo lui stesso ha dichiarato di essere in buona salute e di essere nuovamente pronto a dare la caccia agli islamisti.
Il ritorno di Haftar mette così fine alle preoccupazioni che erano sorte durante la sua assenza, persino tra i suoi fedelissimi. Il fallito attentato del 18 aprile, che mirava ad uccidere il capo di Stato Maggiore dell’Esercito Nazionale Libico (ANL), aveva rafforzato il timore e il pericolo di un vuoto di potere nel caso che entrambi – Haftar e Al-Nazur – fossero venuti a mancare. Anche negli ambienti diplomatici occidentali si era temuto che in Cirenaica si sarebbero potuti verificare degli scontri durante l’assenza del generale.
Haftar, un personaggio potente originario dalla Libia orientale, sostenuto da Egitto e Emirati Arabi Uniti, ha anche ambizioni a livello nazionale. Ghassan Salamé, inviato speciale dell’ONU da poco meno di un anno, cerca di risolvere le divergenze tra il generale e Faïez Sarraj, presidente del Consiglio Presidenziale e primo ministro del governo di Accordo Nazionale della Libia, sostenuto dalla comunità internazionale. Haftar non ha mai riconosciuto come legittimo il governo di Serraj. Salamé sta tentando di ricucire le fratture che si sono create tra la Libia occidentale e quella orientale e per cominciare spinge per la riunificazione delle relative istituzioni militari. Il piano dell’inviato speciale dell’ONU prevede anche elezioni presidenziali e legislative per la formazione di un unico potere.
E proprio domani si terrà il quarto vertice al Cairo del “Libya Quartett”, al quale parteciperanno oltre alla Lega Araba, Unione Africana, ONU e Unione Europeo (presente il commissario agli Esteri , Federica Mogherini) per esaminare i progressi della mediazione di Salamé e per suggerire eventuali nuove proposte.
Se la Tripolitania è controllata da Serraj e la Cirenaica da Haftar, c’è una parte dell’ex colonia italiana che sfugge, almeno in parte, ad entrambe le fazioni: si tratta del Fezzan, nel sud ovest della Libia, scarsamente popolato, terra delle tribù awlad suleiman, toubou e tuareg, con le quali il ministro degli Interni, Marco Minniti, ha cercato di stringere degli accordi un anno fa. I toubou abitano anche nel nord del Ciad e nel nord-est del Niger. Ma non dimentichiamo che nel 1987 Haftar, oggi sostenuto anche dalla Francia, era stato fatto prigionieri dai militari ciadiani, che avevano distrutto, anche grazie alle forze di Parigi, la base di Uadi Dum (Ciad), costruita dai libici.
Le tribù che abitano la Libia meridionale vivono in secolare disaccordo, che si è accentuato maggiormente dopo la caduta di Gheddafi. A Sabha, città strategica del sud, sin dall’inizio della crisi libica sono avvenuti scontri tra le diverse componenti della popolazione. Si è venuta a creare, così, una situazione di grande incertezza. La città, e soprattutto la parte meridionale del Fezzan, sono anche il principale punto di snodo dei migranti provenienti dal Sahel e dall’Africa occidentale. Ed è proprio lì che spesso tribù libiche o vari gruppi di criminali bloccano i profughi, li maltrattano, li torturano e li sottopongono a violenze di ogni genere finchè non viene pagato un riscatto. Il confine meridionale della Libia è lungo cinquemila chilometri e dunque è difficile da controllare.
Questa “terra di nessuno” è molto ambita anche da vari gruppi jihadisti attivi nel vicino Sahel. Tra loro anche il “Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani” creato poco più di un anno fa dall’unificazione di diverse formazioni armate. A marzo era stato comunicato in un video che del nuovo gruppo facevano parte Iyad Ag-Ghali, vecchia figura indipendentista touareg, diventato capo jihadista e fondatore di Ansar Dine, in italiano: ausiliari della religione (islamica), operativo per lo più nel nord del Mali; Yahya Abu Al-Hammam, emiro della regione del Sahara controllata da al-Qaida au Maghreb islamique (AQMI); Amadou Koufa, predicatore radicale maliano, di etnia fulani e capo del “Fronte per la liberazione di Macina”, legato ad Ansar Dine e attivo nel centro del Paese, Al-Hassan Al-Ansari, braccio destro dell’algerino Mokhtar Belmokhtar, del gruppo Al-Mourabitoun, e infine Abdalrahman Al-Sanhaji, detto il giudice di AQMI. La nuova coalizione è guidata da Iyad Ag-Ghali, alleato con al-Qaeda e con i talebani afgani. Non si esclude che nel frattempo si siano aggiunti altri gruppi armati di matrice terrorista.
I capi dell’organizzazione terrorista si sono incontrati recentemente per rinforzare la cooperazione. Hanno preso l’impegno di scambiarsi informazioni, specie nell’individuazione degli agenti di intelligence occidentali, di permettere la circolazione dei jihadisti nelle zone sotto il loro controllo, di organizzare rapimenti di operatori umanitari per riscuotere un profumato riscatto. Si è parlato anche di collaborazione per mettere in sicurezza alcuni zone del litorale libico sotto il loro controllo. Si vocifera che a questa riunione abbia partecipato anche Mokhtar Belmokhtar, eppure a fine novembre 2016 fonti dei servizi statunitensi avevano fatto sapere (per l’ennesima volta) che Belmokhtar potrebbe essere stato ucciso in un raid aereo francese in Libia.
Nella notte tra il 10 e l’11 marzo era stata avvistata e controllata un’imbarcazione in una zona interdetta alla navigazione a largo di Derna, poi rimorchiata fino al porto di Ras Hilal. La barca, proveniente dall’Egitto stava navigando verso Brega, per raggiungere in seguito la Costa d’Avorio. La navigazione lungo le coste della Cerenaica è vietata senza il rilascio di speciali autorizzazioni. La misura serve per contrastare il traffico che rifornisce di armi i jihadisti.
E anche gli ultimi avvenimenti accaduti sembrano proprio opera dei jihadisti come l’uccisione di quarantatré civili tuareg, avvenuta in due attacchi distinti giovedì e venerdì nel nord-est del Mali, e il rapimento dell’operatore umanitario tedesco, avvenuto in Niger, al confine con il Mali a metà aprile.
Cornelia I. Toelgyes
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