Cornelia I. Toelgyes
Quartu sant’Elena, 19 aprile 2018
Nel Darfur le donne non hanno vita facile. Seppur in misura minore, non si fermano le violenze sessuali e gli stupri. Nel suo rapporto annuale all’attenzione del Consiglio di Sicurezza, il segretario generale dell’ONU, Antonio Guteress, ha puntualizzato che molte donne e ragazze sono ancora vittime di stupri e violenze sessuali originati dai conflitti.
Secondo le informazioni in posseso della missione ibrida dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite denominata UNAMID United Nation Africa Mission In Darfur) nel 2017 si sono verificati centocinquantadue stupri. Le vittime erano per lo più donne (ottantaquattro), sessantasei ragazzine e due ragazzini. Il numero di violenze dichiarate è diminuito rispetto all’anno precedente, ma sono sempre troppe e chissà quante altre vittime non hanno potuto, o non hanno trovato il coraggio di denunciare le violenze subite.
I responsabili di queste brutali aggressioni sono per il settanta per cento dei casi uomini armati o miliziani in abiti civili; mentre nel trenta per cento dei casi è imputabile a militari, agenti di sicurezza, guardie di confine e membri delle Rapid Support Forces (RSF), ha spiegato Guteress nella sua relazione. Sarebbe davvero un’inversione di tendenza, visto che fino a poco fa i fautori della maggior parte degli stupti erano le forze regolari sudanesi http://www.africa-express.info/2015/02/15/ordine-ai-soldati-sudanesi-stuprate-tutte-le-donne-di-quel-villaggio/ e i famosi janjaweed, i diavoli a cavallo che bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi, oggi ricomparsi con il nome, appunto di RSF il cui comandante è appunto Mohamed Hamdan Dagl, (detto Hametti) uno dei capi dei janjaweed.
Dal rapporto del segretario generale dell’ONU si evince che gli sfollati lo scorso anno sono diminuiti. Ma la guerra in questo angolo di terra non è ancora terminata, anche se non si parla quasi più della sofferenza di questo popolo. Le scaramucce e attacchi si susseguono con una certa regolarità. Il sito di Radio Dabanga, un’emittente solitamente ben informata, riporta che la scorsa domenica alcuni pastori armati in sella a moto, cavalli e camelli hanno sparato contro alcune agricoltori a Sankta, nel Sud Darfur. Diversi dei malcapitati sono stati feriti. Ieri invece un uomo e suo figlio sono stati brutalmente ammazzati; gli assassini hanno portato via la loro mandria di cammelli, quasi duecento capi. Mentre un altro uomo e un soldato dell’esercito regolare sono stati rapiti da uomini armati dopo un assalto agli operai di un fabbrica di carbone. Altri incidenti si sono verificati nel nord Darfur dove un uomo è stato colpito da una pallottola mentre stava raccogliendo legna per la sua famiglia. Diversi morti e feriti sono stati registrati all’inizio del mese vicino a Dubo El Omda, che si trovano nella stessa regione.
Per porre fine al conflitto che perdura ormai da ben quindici anni, nei giorni scorsi a Berlino si sono svolti nuovi colloqui per un accordo preliminare di pace tra il governo di Khartoum e due gruppi ribelli del Darfur: il Sudan Liberation Movement (SLM-MM) e il Justice and Equality Movement (JEM). Anche questa volta nessun accordo è stato raggiunto tra le parti. Ai negoziati hanno partecipato Minni Minnawi, il leader di SLM-MM, il rappresentante per il JEM, funzionari del governo tedesco, Jeremiah Mamabolo, capo di UNAMID, Amin Hassan Omar, rappresentante di Khartoum e una delagazione degli Stati Uniti, scelta nell’ufficio inviati speciali per Sudan e Sud Sudan. Nessuno accordo perché, secondo il governo, l’impegno per la costruzione del processo di pace deve basarsi unicamente sul Doha Document for Peace in Darfur (DDPD) siglato nel luglio 2011 a Doha, Qatar.
Nelle ultime settimane nel Darfur ufficiali dell’esercito degli Emirati Arabi hanno reclutato centinaia di giovani al di sotto dei trent’anni. Saranno inviati in Yemen per combattere nella guerra civile che si sta combattendo laggiù. Le reclute dopo aver ricevuto un primo addestramento nei campi militari del Darfur occidentale e centrale, sono stati trasferiti da Nyala in Arabia Saudita per ulteriori esercitazioni.
Il Sudan People’s Liberation Movement-North ha fatto sapere che membri degli RSF stanno reclutando giovani nel Blue Nile, nella regione delle Montagne di Nuba. Il Movimento ha chiesto alla popolazione di non aderire a questa campagna di reclutamento.
Tra i Paesi che sostengono la coalizione saudita, c’è anche il Sudan con le Rapid Support Forces. Dopo la visita del presidente sudanese Omar al Bashir in Russia alla fine dello scorso anno, circolava voce che il leder dell’ex dominio anglo-egiziano avrebbe ritirato i suoi uomini dalla guerra in Yemen. D’altronde anche Abdullah Saleh, il vecchio presidente dello Stato della penisola arabica prima di essere ammazzato, si era appellato a Sudan ed Egitto affinchè uscissero dalla coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita. (https://www.africa-express.info/2017/12/14/al-bashir-pronto-ritirare-le-truppe-sudanesi-dallo-yemen/)
A quanto pare Khartoum ha cambiato opinione e malgrado le forti perdite in vite umane – in queste ultime settimane durante una battaglia nel deserto di Rubʿ al-Khali in Yemen, al confine con l’Arabia saudita, gli RSF hanno perso decine di uomini, moltissimi altri sono stati feriti – al Bashir sta inviando rinforzi per sostenere la coalizione impegnata in questa sanguinosa assurda guerra.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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