Franco Nofori
Mombasa, 9 aprile 2018
L’annosa questione che oppone l’Egitto a Etiopia e Sudan, è originata dalla costruzione della diga “Grand Ethiopian Renaissance” in territorio etiopico, a poca distanza dal confine con il Sudan. Cinque anni fa sono iniziati i lavori da parte della multinazionale italiana “Salini Impregilo” cui il governo etiope aveva affidato l’appalto dei lavori, oggi già realizzati per più di due terzi del piano concordato.
Si tratta di un progetto colossale che, una volta ultimato, renderà la diga etiopica, la più grande dell’intero continente africano, spodestando sia le due di Inga, in Congo – anche quelle costruite dall’Italiana “Gatsaldo ” – e sia quella di Assuan in Egitto. L’estensione del bacino e dell’intera area cantieristica equivale a quella della Great London, cioè la città di Londra con tutte le borgate periferiche annesse. Il bacino avrà una lunghezza di 18 mila metri e una profondità di 155,con una capienza di circa 74 miliardi di metri cubi d’acqua che saranno sfruttati per la produzione di energia elettrica per oltre seimila megawatt, cioè un altro primato sulle centrali idroelettriche africane.
Ma mentre il Sudan plaude all’iniziativa della vicina Etiopia, con cui condividerà la produzione di energia, al progetto si oppone strenuamente l’Egitto che ha più volte minacciato anche un intervento militare per impedirne la realizzazione. “L’Egitto è un dono del Nilo”, diceva Erodoto. Il che significa che l’Egitto, senza il Nilo, non può sopravvivere. Enunciazione, questa, molto vicina al vero. “Il governo – ha detto un infuriato Mohamed Abdel Aty, ministro egiziano per le risorse naturali – ha la responsabilità di tutelare gli oltre cento milioni di suoi abitanti. Una minima riduzione del gettito delle acque del Nilo, anche solo del 2 per cento, significherebbe far perdere alla nostra agricoltura ben 83 mila ettari di terreno fertile”.
Dal canto suo, l’Etiopia, definisce questo allarme del tutto infondato. “La nuova diga – ha detto un portavoce del governo – non servirà per l’irrigazione agricola, ma esclusivamente per la produzione di energia e quindi neppure una goccia d’acqua verrà sottratta al flusso del Nilo”, ma oltre ai comprensibili dubbi che un’affermazione del genere può suscitare – anche perché il Sudan ha già resa nota la sua esultanza proprio per la possibilità di irrigare le propri colture – resta comunque il fatto che, anche se la quantità d’acqua non venisse realmente ridotta, si ridurrà certamente la sua portata, cosa più che sufficiente per creare drammatiche difficoltà all’agricoltura egiziana. Si è inoltre stimato che, appena la diga sarà ultimata, occorreranno non meno di tre anni per riempirne il bacino e pur se l’Etiopia assicura che durante il riempimento, sarà comunque consentita la prosecuzione di un ragionevole flusso d’acqua, è inevitabile che l’Egitto sia fortemente preoccupato da questa prospettiva.
Si è ripetutamente detto che la crescente scarsità d’acqua che affligge il pianeta, sarà la causa della terza guerra mondiale ed è significativo che le prime, accese tensioni che stanno verificandosi a causa dell’acqua, siano proprio riferite al fiume più lungo del mondo: il Nilo che nel suo percorso attraversa paesi prevalentemente condannati a una siccità endemica. Tra questi, indubbiamente l’Egitto, un popoloso e vasto territorio che oltre a due strisce di terra fertile lungo le sponde del grande fiume, non presenta altro che un territorio sterile e pressoché desertico.
La contesa non è certo di facile soluzione. Le ambizioni dell’Etiopia – favorite dal massiccio supporto cinese – la vedono lanciata verso una posizione dominante nel panorama continentale e i suoi progetti hanno necessariamente bisogno di una grande disponibilità energetica. (https://www.africa-express.info/2017/09/01/continua-inarrestabile-lavanzata-cinese-africa-ora-e-la-volta-delletiopia/) Si tratta indubbiamente di aspettative legittime. Anche l’Etiopia conta oltre 100 milioni di abitanti ed è tuttora afflitta da fame e povertà, accentuate anche dai lunghi conflitti con l’Eritrea e la Somalia. Non si può impedire a un Paese di avanzare verso il progresso, ma neppure si può consentire che questo progresso affligga o comprometta quello altrui.
Le Nazioni Unite, pur valutando che nel 2025 l’Egitto, a causa della diga etiopica, soffrirà di una grave penuria nell’approvvigionamento idrico, sembra non sapersi ben destreggiare con la patata bollente che gli è piombata tra le mani. “Una minaccia contro l’acqua che occorre all’Egitto – ha categoricamente detto l’accademico Rawia Tawfik – sarà considerata come una minaccia alla sovranità del nostro Paese”. Un chiaro monito rivolto all’Etiopia e al Sudan: l’Egitto non esiterà a impugnare le armi per proteggere i propri irrinunciabili interessi. Minaccia cui il governo sudanese ha ironicamente risposto: “La tracotanza egiziana è intollerabile. Vogliono impedire la costruzione della diga etiopica, mentre ne hanno costruita una similare ad Assuan”
Non è certamente facile confutare questa affermazione. La costruzione della diga di Assuan è tuttora uno dei più sentiti simboli dell’orgoglio nazionale egiziano, ma ora l’Etiopia sta facendo esattamente la stessa cosa: chi ha il diritto di impedirglielo? Qualche maligno osservatore insinua che la rabbia egiziana deriva dal fatto che, una volta ultimata la diga, quella di Assuan scivolerà in basso nella classifica africana, ma non pare che l’attuale confronto sia solo determinato da gelosie e ripicche. Un Egitto senz’acqua è un Egitto che non sopravvive ed equivale quindi a una bomba innescata. Purtroppo il tempo stringe e le negoziazioni tra Egitto ed Etiopia sembrano sempre più arenate creando l’incubo di un ennesimo conflitto in terra d’Africa.
Franco Nofori
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