Franco Nofori
Mombasa, 5 aprile 2018
Dopo una lunga e sofferta malattia, all’età di 82 anni, non ancora compiuti, si è spenta lunedì scorso, in un ospedale di Johannesburg, Winnie, la battagliera moglie di Nelson Mandela, uno dei più grandi uomini politici della storia, non solo africana, che ha pagato con 27 anni di prigionia, nelle carceri del regime razzista, il suo sogno di un Sudafrica libero e definitivamente sottratto all’iniquo giogo dell’apartheid. Winnie si era unita in matrimonio a Nelson nel 1958, cinque anni prima che il marito subisse una condanna all’ergastolo per rivolta armata.
Durante i lunghi anni della detenzione di Nelson, Winnie divenne l’eroina e l’interprete delle aspirazioni del popolo autoctono del Sudafrica. Fu ripetutamente celebrata da tutti i media internazionali; qualche giornale italiano la paragonò ad Anita Garibaldi e ricevette anche l’appassionato tributo di Paul Simon, in un celebre concerto, da lui organizzato, nel quale, tra i molti famosi artisti sudafricani, partecipò anche Miriam Makeba. Continuò con instancabile energia la battaglia iniziata dal marito, fu più volte processata e arrestata, ma non si diede mai per vinta. A chi le chiedeva un commento sulla sua vita con Mandela, lei rispondeva con una frase divenuta celebre: “My life with Nelson was a life without Nelson” (la mia vita con Nelson è stata una vita senza Nelson)
Winifred Nomzamo Zanyiwe Madikizela in Mandela (nome che è quasi impossibile ricordare per intero) era nata nel 1936 a Mbizana, distretto orientale del Sudafrica. Ultima di otto sorelle, perse il padre quando aveva appena compito otto anni e affrontò subito una vita durissima dove il pasto quotidiano non era sempre assicurato. Ciò nonostante, mostrò subito una tenace volontà nel perseguire gli scopi che si era prefissata. Riuscì a diplomarsi in economia domestica e cominciò a svolgere piccoli lavori di segreteria finché approdò allo studio legale di Nelson Mandea e ne divenne la consorte quando lui aveva quarant’anni e lei solo ventidue.
Mentre Winifred (contratto in Winnie) è il nome cristiano assegnatole con il battesimo, “Nomzamo” – nome dell’etnia bantù, cui lei appartiene – sembra nato da un’ispirazione profetica dei suoi genitori, perché significa “vita difficile”, cioè, proprio quella vita che – nel bene e nel male, tra successi e cadute, glorie e vergogne – ha caratterizzato la sua intera esistenza.
Forse ubriacata dalla troppa popolarità, Winnie si lascia gradualmente andare ad atteggiamenti e azioni riprovevoli, cominciando a offuscare l’immagine di donna votata al perseguimento dei nobili principi di libertà e giustizia per i quali, fin dal 1941, il marito aveva combattuto. Si trova più volte coinvolta in scandali e i meriti da lei ottenuti quale consorte del grande Nelson Mandela, vanno via via appannandosi, fino a quasi scomparire.
Nel 1986, Winnie, assumendo le vesti di un oracolo cupo e spietato, si spinse a incoraggiare pubblicamente la pratica di punire i rei di un crimine bruciandoli vivi con al collo i copertoni incendiati. “Con qualche copertone di gomma e pochi fiammiferi, ripuliremo il nostro paese”, aveva detto. Ma non basta: solo un paio d’anni dopo, la sua personale guardia del corpo, Jerry Musivuzi, confessò che per ordine della sua protetta, dovette rapire quattro giovani che, a forza di botte e di torture, furono costretti a confessare di aver subito abusi sessuali da un pastore della chiesa metodista. Il corpo di uno di questi giovani, James Saipei, di soli quattordici anni, verrà poi trovato abbandonato in campagna con la gola tagliata.
Per questo crimine, Winnie verrà condanna nel 1969 a sei anni di carcere, singolarmente convertiti in un’ammenda e nel 1991 il suo ricorso al massimo grado di giudizio, le farà ottenere il proscioglimento da tutte le accuse, salvo quella di aver organizzato il rapimento. Winnie, però, non ha neppure il tempo di compiacersi per questa favorevole sentenza, perché solo un anno dopo, viene accusata di aver pagato ottomila dollari a un sicario, dotandolo anche delle armi necessarie, perché uccidesse Abu Baker Asvat, un medico che aveva visitato a casa Mandela il quattordicenne Saipei, prima della sua uccisione.
Malgrado queste non edificanti vicissitudini, la carriera politica di Winnie non si arresta, fino a farle raggiungere, nel 1994, l’incarico di viceministro della Cultura. Incarico che solo un anno dopo le viene revocato per i suoi continui appelli alla violenza rivolti ai giovani neri più radicalizzati. Ma il nuovo Sudafrica non può mostrarsi troppo intollerante nei confronti dell’ex compagna di Nelson Mandela che, durante la prigionia del marito, era stata da tutti celebrata come l’inarrendevole eroina nazionale. E così, cinque anni dopo, viene nuovamente rieletta al parlamento, ma ancora una volta, nel 2003, è definitivamente costretta a dimettersi perché incriminata con ben 43 capi d’imputazione per furto e frode. Subisce una condanna a cinque anni di carcere duro, ma la pena sarà ridotta a tre anni e riesce anche a tenersi fuori dal carcere ottenendo la concessione della condizionale.
Per una nuova nazione che sorge dalle ceneri dell’apartheid, i comportamenti dell’ex compagna del grande presidente nero, non sono certamente esaltanti e offuscano un po’ anche la lungimirante umanità pacificatoria che Nelson Mandela mostra nell’assumere la carica di presidente. “Troppa immeritata magnanimità, nei confronti della Winnie criminale”, commentano i media internazionali e non è agevole smentirli. Del resto, anche la sempre celebrata relazione sentimentale tra Nelson e Winnie, che era stata diffusa nel mondo come una tenace condivisione d’amore e di battaglia, sembra naufragare miseramente quando lei rifiuta di andare a vivere con il marito nel momento in cui, negli ultimi anni di carcerazione, il governo De Klerk, concede a Mandela gli arresti domiciliari.
Nel 1992, due anni dopo la definitiva scarcerazione, Nelson Mandela si separa da Winnie che da quel momento in poi si chiamerà solo più Winnie Madikizela, anche se, fino alla sua morte, per tutti resterà sempre la coraggiosa e celebre Winnie Mandela. L’ex marito, non mancò tuttavia di criticarla pubblicamente e anche con una certa asprezza per i suoi continui comportamenti illegali o non trasparenti, come quello che le consentì di acquisire una prestigiosa residenza di estremo lusso, grazie a fondi di indubbia provenienza.
Ora Winnie Madikizela è morta e – come spesso accade – l’establishment, nei suoi apparati istituzionali e informativi, non sa liberarsi dalla retorica della sublimazione post-mortem che induce ad attribuire al defunto grandiosità e meriti in gran parte immeritati, glissando sugli aspetti negativi, oppure trattandoli in forma estremamente blanda. Ma come è sempre avvenuto, anche nei confronti della discussa Winnie, la storia, nel tempo, saprà fare giustizia del tutto.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@Franco.Kronos1
Dalla Nostra Corrispondente di Moda Luisa Espanet Novembre 2024 In genere succede il contrario, sono…
Dal Nostro Corrispondente di Cose Militari Antonio Mazzeo 20 novembre 2024 Nuovo affare miliardario della…
Speciale per Africa ExPress Costantino Muscau 19 novembre 2024 "Un diplomatico francese sta rubando i…
Speciale Per Africa ExPress Eugenia Montse* 18 novembre 2024 Cosa sapeva degli attacchi del 7…
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 18 novembre 2024 Un tribunale di Pretoria ha…
Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 17 novembre 2024 Continua in Mozambico il braccio di…