Franco Nofori
Mombasa, 2 Aprile 2018
Non è solo l’Amazzonia il luogo in cui si fa strage di foreste, anche in Africa avviene lo stesso scempio, anche se per ragioni alquanto diverse. Un recente rapporto dell’Africa Green Foundation, ha rivelato che solo in Kenya, vengono abbattuti ogni giorno 5,6 milioni di alberi. Una quantità stupefacente se rapportata allo sforzo degli ambientalisti che, pur dedicandosi alla riforestazione con enorme energia e determinazione, riescono appena a ripiantare un misero 12 per cento del totale di alberi abbattuti. E’ come continuare a riversare acqua in una vasca bucata dove il getto d’ingresso è molto inferiore a quello d’uscita.
A differenza dell’Amazzonia, in Kenya le cause dell’abbattimento di alberi sono soprattutto dovute alle necessità domestiche e a quelle della mini-imprenditoria. Nelle zone dell’altipiano, dove il freddo notturno è sempre costante e pungente, l’unica possibilità di riscaldarsi è quella di accendere fuochi, usando il legno come combustibile. Ma il legno viene anche usato per cucinare dal 90 per cento dell’intera popolazione sub-sahariana, mentre rappresenta ben il 52 per cento dei combustibili utilizzati per la produzione di energia elettrica. Secondo la World Bank, la deforestazione in atto in Africa ha raggiunto livelli di assoluta drammaticità e il Kenya, in particolare, rischia di essere trasformato in pochi decenni, in una landa brulla e desolata, come, negli ultimi trent’anni, è avvenuto per il Samburu National Park, un tempo verde e rigoglioso e oggi ridotto a una vasta distesa di terra grigia, arida e polverosa.
L’elevato tasso d’incremento demografico in Africa, ha anche aumentato la necessità di un maggiore sviluppo agricolo che rispondesse alle esigenze alimentari della crescente popolazione, sviluppo che ha sempre più richiesto l’acquisizione di terreni fertili, troppo spesso strappati alle foreste. Secondo la FAO, Food and Agriculture Organisation, è infatti proprio nell’agricoltura che risiede ben il 60 per cento dell’intera deforestazione africana, mentre un 20 per cento è utilizzato dal commercio e dall’industria e il rimanente 20 per cento per l’utilizzo domestico. Tra gli usi commerciali è inclusa la produzione del Charcoal un carbone di legno che si ottiene attraverso una lunga fumigazione dei ciocchi d’albero ridotti poi a pezzi, utili per cucinare alla brace. I popoli swahili lo chiamano chacol e per cucinare è preferito al legno perché la sua combustione e molto lenta, facendolo durare a lungo.
Ragioni, quelle elencate, del tutto comprensibili perché rispondono alle basilari necessità di popoli ancora troppo poveri per poter accedere a sistemi più avanzati. Tuttavia le foreste africane diminuiscono a vista d’occhio e sono in grave pericolo di estinzione. Basti pensare che nel decennio compreso tra il 1980 e il 1990 la FAO ha stimato che l’Africa perdeva ogni anno oltre 15 milioni di ettari di foreste per sostenere le necessita dello sviluppo umano. Situazione, questa, che ha messo in allarme la fondazione a tutela delle foreste il cui presidente, Isac Kalua, ha detto “I miei compatrioti keniani, devono rendersi conto che l’abbattimento degli alberi crea gravissimi danni all’ecosistema e continuando in questo modo metteranno a rischio il futuro dei propri figli”.
Certo è che, oltre a questi legittimi moniti, si dovrebbero anche poter proporre valide alternative che, almeno fino ad oggi, sono mancate. Al momento, l’iniziativa che appare più realistica, è quella intrapresa dall’organo ONU che si occupa dei cambiamenti climatici del pianeta il quale, in collaborazione con la Green Foundation, ha presentato un massiccio piano di riforestazione che interesserà inizialmente nove zone pilota: Tharaka, Kituy, Machakos, Embu, Siaya, Homabay, Laikipia, Turkana e Marsabit. Il progetto sarà poi gradualmente esteso a tutte le foreste del paese. Ma questo progetto, per essere attuato, richiede inevitabilmente la partecipazione del governo del Kenya che per bocca del ministro dell’ambiente, Judi Wakhungu ha annunciato la messa a punto di un piano che, nell’anno corrente, consentirà al suo dicastero di piantare oltre 50 milioni di nuovi alberi.
Risposta certamente positiva, ma che resta del tutto insufficiente visto che l’attuale abbattimento annuale sfiora già i 2 miliardi di alberi. Inoltre, è questa una promessa su cui il Kenya può contare? C’è davvero da sperarlo perché il Paese si trova in piena emergenza e il tempo minimo perché un albero appena piantato possa portare il suo contributo all’equilibrio climatico, richiede almeno sette anni. Se questa promessa del governo farà la fine di molte altre che non si sono mai realizzate, non si tratterà più di confrontarsi con cittadini che, se pur se mugugnando, restano impotenti. Significherà adottare un atteggiamento di spavalderia contro le forze della natura. Natura che l’uomo, pur se con la sua più sofisticata tecnologia, non è mai riuscito e mai riuscirà a sconfiggere.
Franco Nofori
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