Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 19 febbraio 2018
Domenica mattina si sono verificati nuovi scontri a Djugu, nella provincia di Ituri, nel nord-est del Paese, già teatro di terribili violenze etniche tra gli Hema e i Lendu nelle ultime settimane. L’Organizzazione non governativa per i diritti umani “Justice Plus”, ha fatto sapere che ieri sono state ammazzate ben sessanta persone a Djugu, un centinaio di residenti sono stati feriti e migliaia di case sono state incendiate. La ONG ha precisato che dall’inizio di questo conflitto gli sfollati sarebbero saliti ormai a duecentomila. Nel 1999, a causa delle violenze tra i due gruppi etnici oltre quattrocentomila persone sono state costrette a lasciare le loro case.
Tra il 1999 e il 2003 decine di migliaia di persone hanno perso la vita. Da allora fino a poco tempo fa si erano registrati solo piccoli focolai, ha specificato Baba Balloch, portavoce dell’UNHCR. All’inizio del mese ben millequattrocento persone hanno cercato protezione nella vicina Uganda. Ora gli operatori umanitari sono in stato di allerta nel Congo-K e in Uganda, a causa del traffico di armi leggere nelle zone di frontiera. Balloch ha sottolineato che molte comunità interessate dal conflitto non sono raggiungibili dagli operatori, dunque non possono prestare assistenza alla popolazione, in particolare a donne e bambini.
Un ulteriore focolaio di violenze, nella già tanto provata ex-colonia belga,che potrebbe sfociare nuovamente in un vero e proprio conflitto etnico.
Sette persone sono state brutalmente assassinate, mentre altrettante sono state ferite, tra loro una in modo grave sabato mattina. Uomini armati hanno teso un’imboscata ad un veicolo dell’Istituto congolese per la conservazione della natura, sul quale viaggiavano diciasette persone, di ritorno da un funerale a Beni, nell’est del Congo-K.
La società civile e la polizia puntano il dito sui miliziani di Allied Democratic Forces, un gruppo armato ugandese, particolarmente attivo dal 2014. Si tratta di un movimento appartenente alla nebulosa islamista radicale e che avrebbe dei legami con gli al Shebab somali. L’ADF opera da oltre vent’anni nelle zone di frontiera tra Uganda e la ex colonia belga, ma dal 2014 ha cambiato completamente strategia. I militanti del movimento islamico colpiscono spesso i villaggi nella zona di Beni, massacrando i poveri contadini e distruggendo le case di comunità intere.
I responsabili dell’ICCN, invece, sono più prudenti. Non escludono che il massacro sia stato effettuato da membri dell’ADF, ma Paulin Tshikaya, direttore dell’Istituto, ha sottolineato che nella riserva ci sono molte miniere illegali, protette da bande armate.
Il territorio di Beni ha subito già svariati attacchi dall’inizio dell’anno, eppure la zona è fortemente militarizzata.
Nella Repubblica Democratica del Congo si trova una delle più grande foreste pluviali del mondo; il Parco nazionale Salonga è stato inserito nel 1984 tra i patrimoni mondiale dell’UNESCO e copre una superficie di trentatremilatrecentocinquanta chilometri quadrati. E’ terra dei bonobi, le scimmie di Salonga, dei pavoni rossi dello Zaire, degli elefanti della foresta ed dei coccodrilli africani. Insomma uno dei luoghi più rari e al contempo più spettacolari del mondo, eppure, secondo alcuni media, il presidente della ex colonia belga, Jospeh Kabila avrebbe autorizzato la prospezione di giacimenti petroliferi all’interno della riserva.
Aime Ngoy Mukena, ministro del petrolio del governo di Kinshasa, non ha voluto confermare, almeno finora, che trattative in tal senso siano in atto, ma ha precisato che il Paese può esercitare il diritto di effettuare trivellazioni ovunque nei territori dello Stato, e nessuna area ne è esclusa. Ha poi aggiunto: “Se dovessimo trovare del greggio nell’area protetta dell’UNESCO, e se l’estrazione dovesse comportare dei rischi, decideremo come agire”. Finora i vertici dell’organizzazione dell’ONU non hanno voluto commentare la questione.
Secondo alcuni scienziati, all’interno del parco ci sarebbero molte torbiere, che, se rimosse o anche semplicemente toccate in modo improprio, potrebbero immettere una grande quantità di anidride carbonica nell’atmosfera.
Difficile rinunciare ad un eventuale giacimento petrolifero e alle relative royalities, specie per Jospeh Kabila, inchiodato alla poltrona dal 2001 (dopo l’assassinio del padre, Laurent-Désiré Kabila) e poi rieletto nel 2006 e nel 2011. Il suo attuale mandato è scaduto nel dicembre 2016, ma lui ne ha chiesto un altro, il terzo, e la sua pretesa è stata fortemente contestata dall’opposizione, perché anticostituzionale. Intanto Kabila rimane al potere, cercando in tutti modi di mettere a tacere gli oppositori, invece di concentrarsi sulle pene e le sofferenze del suo popolo.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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