Costantino Muscau
Milano, 6 febbraio 2018
Anche le ventitreesime Olimpiadi bianche si tingono di ..nero (almeno un poco).
Si sa che la quantità di neve che cade in Africa non è tale da creare atleti in grado di eccellere in sport invernali quali sci di fondo, sci alpino, pattinaggio, slittino, skeleton, snowboard, …e via sci(vol)ando.
E’ vero che quest’anno, a gennaio, 30/40 centimetri di neve hanno ricoperto anche le dune sabbiose a ridosso della piccola località di Ain Sefra, in Algeria, conosciuta come la “Porta del Deserto”. E’ anche vero, però, che se andiamo più a sud, nell’Africa subsahariana, un evento simile non si è mai registrato. La media annuale delle candide precipitazioni è, infatti, di appena mezzo millimetro!
Eppure ciò non è bastato a dissuadere Paesi senza inverno come Senegal, Etiopia, Zimbabwe, Ghana, Sud Africa, Madagascar, Camerun ,Togo, Kenya, dal prendere parte, fin dal 1984, ai Giochi Olimpici invernali. Kenya, Togo, Sud Africa, Marocco, Ghana sono presenti anche quest’anno con 7 uomini delle nevi in tutto.
A essi ora si aggiungono i neofiti in assoluto Nigeria ed Eritrea, con 5 esponenti.
Un numero irrisorio all’interno dei 2925 atleti di 92 nazioni, dove gli Usa schierano un esercito, con 242 unità, seguiti da Canada e Norvegia con 226 e 211 (l’Italia ne allinea 122). Una presenza, quindi, quella africana, quasi esotica, o, meglio, di testimonianza della internazionalizzazione delle discipline invernali o alpine, sulle montagne della provincia di Gangwon, a meno di 100 chilometri da quel 38° parallelo che divide le due Coree (per una volta unite) e che tremare il mondo fa.
Non è un caso che nessuna nazione africana abbia mai vinto una medaglia d’oro in queste attività agonistiche. E difficilmente anche in Corea del Sud vedremo brillare un oro nero.
Eppure i sogni possono diventare realtà, esclama, su Instagram, Simidele Adeagbo – Fino al settembre 2017 non ero mai stata sul ghiaccio. Ora sarò la prima donna africana a competere in Corea nella specialità Skeleton.
Chiariamo per i 25 lettori non esperti in materia di ghiaccio e neve: in Corea del Sud – lo avrete capito – a PyeongChang, dal 9 al 25 febbraio, si celebrano i Giochi olimpici invernali, edizione numero 23.
Skeleton è lo sport in cui ci si stende a pancia in giù su una slitta, testa in avanti e piedi sollevati, e si scende lungo una pista ghiacciata di 1200 metri a una velocità che può toccare i 130 km orari.
E Simidele Adeagbo, detta Simi, chi è?
Una bella e volitiva nigeriana di 36 anni, già atleta del salto triplo, di cui possiede il record dell’università del Kentucky. “Desideravo ardentemente andare a un’Olimpiade, ma a un tratto vidi le mie ambizioni svanire. Nel 2008 mi ritirai dall’attività agonistica non essendo riuscita a entrare, per un pelo, nel team olimpico. Nel 2016, però, lessi in un articolo che la Nigeria stava programmando di prendere parte ai Giochi coreani con il bob a 4 e di come le nigeriane avessero questa audace aspirazione di essere le prime africane a competere nel bob. Mi offrii come quarto elemento, ma mi spiegarono che il bob a 4 è per gli uomini e che per le donne c’è il bob a 2”. (In teoria l’atleta non sarebbe dovuta essere ignorante in materia in quanto nata a Toronto seppure da genitori dello stato Ekiti, nella Nigeria occidentale. Appena nata, però, rientrò in patria dove visse fino ai 6 anni).
Simi, comunque, non si perde d’animo. Nel 2017 torna alla carica quando vede su Instagram un invito a partecipare alle prime prove mai organizzate dalla Federazione nigeriana di skeleton e bob (altro celebre sport invernale da brivido, per chi non lo sapesse) a Houston, in Texas. Simi nell’agosto 2017 lascia la sua base di Johannesburg, in Sud Africa e va a Houston. “A essere sincera” – confessa ora – “di questa attività agonistica conoscevo ben poco. Sapevo però che la mia esperienza in atletica poteva essermi utile. Si trattava di correre al massimo per 30 metri e poi spiccare il volo. Qui la distanza è diversa, ma si tratta pur sempre di avere uno scatto iniziale e resistere per circa un minuto a rotta di collo”.
Simi supera le prove in Texas e viene invitata in Canada, a Calgary, dove gareggia con successo in quattro eliminatorie. Idem in altre due a Park City, nello Utah. La sfida decisiva, però, risale all’11 gennaio scorso, a Lake Placid (New York), dove stacca il pass per le Olimpiadi coreane completando brillantemente le 5 gare di qualificazione richieste.
E così può esultare sui social: “Hello PyongChang! Sto arrivando e non vedo l’ora di rappresentare il mio Paese. Ciò che mi sembrava impossibile, è stato un gioco da ragazzi. Voglio essere di esempio alle donne africane, voglio che sia smentito il luogo comune che le riguarda. E’ giunto il tempo di mostrare al mondo come le donne dell’Africa siano sveglie, energiche, coraggiose, belle, ambiziose e delle…apripista senza timori reverenziali nello sport”.
Un messaggio forte e chiaro, condiviso da altre tre stelle nigeriane che sperano di risplendere nel gelo siberiano che attanaglierà (stando alle previsioni) i giochi di PyeongChang.
E’ ora che scenda in pista, infatti, il trio femminile che si cimenterà per la prima volta nella specialità Bob. in rappresentanza non solo della Naija (come patriotticamente è chiamata la Nigeria) ma dell’intero continente. E’ composto da Seun Adigun, 31 anni, Ngozi Onwumere, 26, Akuoma Omeoga, 25. Tutte hanno avuto un percorso simile a quello di Simi: nate fuori patria, si sono cimentate in atletica e hanno deciso di competere sempre per la Nigeria. Seun , ad esempio, ha visto la luce il 3 gennaio 1987 a Chicago da genitori di Surulere, nella Stato del Lagos. Come riporta il sito Travelstart.com, si è dedicata a ogni sport dove ci fosse da ..menar le mani (pugilato escluso): dal football americano al tennis al basket. In realtà poi è divenuta una specialista dei 100 metri ostacoli tanto da prendere parte alle Olimpiadi di Londra nel 2012. Nel frattempo, però, si è anche laureata, in Scienze Motorie – con una borsa di studio – a Houston.
Ngozi Onwumere è nata e cresciuta a Mesquite, in Texas, da padre e madre si Umuchima, una cittadina di Imo, un altro dei 36 stati della Nigeria ( si trova a sud est della federazione). Prima di arrivare al Bob ha calcato le piste dell’atletica nei 100, 200, 400 e 4×100 metri, rappresentando la Nigeria a livello internazionale. Dopo la laurea nella città natale, si è trasferita a Houston grazie a una borsa di studio e li ha incontrato Seun, che aveva sviluppato la passione per il Bob. Dove, come? Nel garage di casa, dove si era costruita una slitta di legno perché – è il suo motto – “la paura è un’opportunità nuova per imparare”.
Ha contagiato la sua passione a Ngozi , che – ricorda oggi –”ignoravo l’esistenza della specialità. Per questo di fronte alla richiesta di Seun di unirmi al team, all’inizio nicchiai, Poi accettai la proposta: sentivo il bisogno di qualcosa di nuovo e di rischioso”.
Mancava il terzo elemento (di scorta). E chi poteva essere se non Akuoma Omeoga? Una nigeriana di genitori di Umuahia (Abia, sud est della Nigeria) nata però a St. Paul del Minnesota, forse lo stato più freddo degli Usa? Pistard per 4 anni nell’università statale, dove si è anche specializzata in educazione e nella cultura degli Igbo (uno dei maggiori gruppi entici africani), ha accolto senza esitazione la chiamata di Seun e Ngozi.
La notizia della loro discesa in pista – sottolinea il sito economico-finanziario Quartz.com – ha suscitato uno straordinario e sorprendente interesse da parte di alcuni brand mondiali che hanno scelto di sponsorizzare il trio. L’attenzione nei loro confronti è diventata quasi spasmodica dopo che le tre ragazze sono state ospiti di un popolare show televisivo americano. La loro apparizione è diventata virale su YouTube con oltre un milione e mezzo di visite e ha spinto la regina del tennis, Serena Williams, a twittare: “Il loro video mi fa letteralmente rabbrividire! Sono eccitatissima nel vedere che la Nigeria gareggerà per la prima volta in questa specialità”. E’ il caso di ricordare che suo padre , Richard Williams, è figlio di emigrati nigeriani.
Non è solo la Nigeria ad affacciarsi per la prima volta al balcone gelato di questo panorama olimpico. Ben cosciente della sua prima storica partecipazione come sciatore è, infatti, un giovanissimo studente di informatica, Shannon-Ogbani Abeda, 21 anni.
Nato e cresciuto in Alberta (Canada) da genitori eritrei (mamma Ariam e papà Walday), rifugiati politici dagli anni ’80, Abeda si sente orgoglioso della doppia nazionalità. “Sono cresciuto qui con tanti amici canadesi – ha confidato a Cbc.ca – “ma so bene anche chi sono dentro come eritreo. Il supporto fornitomi dalla comunità eritreo-canadese e dai messaggi giuntimi da tutto il mondo mi hanno commosso e motivato. Tanto più che un anno fa a causa di un infortunio a un ginocchio sono entrato in crisi e stavo per vedere questo sogno svanire”. Abeda non si illude di vincere la medaglia d’oro e neppure di salire sul podio, gli basterebbe andare avanti il più possibile nello slalom e nello slalom gigante. “Però – commenta suo padre Walday, ingegnere petrolifero ad Alberta – Shannon spingerà altri ragazzi di Paesi dove la neve non si è mai vista e li convincerà che anch’essi un giorno possono rappresentare la loro nazione o quella dei loro genitori. Nostro figlio sarà di stimolo agli immigrati di prima e seconda generazione a cimentarsi negli sport invernali”.
C’è, infine, chi porterà per la seconda volta la bandiera del suo Paese ai Giochi del grande freddo. E’ il ghanese Akwasi Frimpomg, 32 anni il prossimo 11 febbraio, che il 15 gennaio scorso su twitter ha esultato “E’ ufficiale. Sono orgoglioso di annunciare che rappresenterò il Ghana alle olimpiadi 2018. Abbiate il coraggio di sognare”. Akwasi, che si presenta come atleta, imprenditore e consulente motivatore, si è gettato nello skeleton appena 3 anni fa. Prima anche lui si dedicava all’atletica negli Usa e in Olanda, dove vive da quando aveva 11 anni. “Attraverso lo skeleton cerco di mostrare agli altri come si possa tentare qualcosa di diverso. Non possiamo essere tutti dei super campioni come Usain Bolt, ma tutti abbiamo del talento che possiamo usare”.
Costantino Muscau
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