Il primo impegno di Kagame eletto presidente dell’Unione Africana: lotta alla corruzione

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Trentesimo vertice dell'Unione africana ad Addis Ababa, capitale dell'Etiopia

Cornelia I. Toelgyes Rov 100Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 31 gennaio 2018

Si è concluso il trentesimo vertice dell’Unione africana, che si è tenuto nella sede dell’organizzazione ad Addis Ababa, la capitale dell’Etiopia. Il guineano Alpha Condé, presidente di turno dell’Assemblea durante lo scorso anno, ha ceduto lo scettro al Paul Kigame, leader del Ruanda.

In un tour de force i capi di Stato africani hanno dovuto affrontare una fitta agenda, in primo piano la lotta contro la corruzione, la pace e la sicurezza nel continente, la libera circolazione delle persone e l’istituzione di una zona di libero scambio africano, oltre alle riforme istituzionali di base.

Trentesimo vertice dell'Unione africana ad Addis Ababa, capitale dell'Etiopia
Trentesimo vertice dell’Unione africana ad Addis Ababa, capitale dell’Etiopia

Alpha Condé, nel suo discorso di apertura ha sottolineato: “Ho fatto del mio meglio per imporre una nuova dinamica durante quest’anno di presidenza. Ma è giunto il momento di passare dalla retorica ai fatti, dalle promesse ai risultati concreti e tangibili”.

Nel 2018, grazie all’impulso di Kagame, l’UA potrebbe diventare finanziariamente indipendente per la prima volta nella sua storia. Dalla sua creazione nel 2002 è sempre stata fortemente criticata per le sue lungaggini burocratiche e la sua dipendenza economica dall’Occidente, la sua scarsa capacità di prendere delle decisioni, ma soprattutto di non sapersi mettere in gioco.
L’UA conta 55 membri e comprende tutti gli Stati internazionalmente riconosciuti del continente e la Repubblica Araba Saharawi Democratica.  Uno dei promotori – e cospicuo finanziatore – della creazione dell’Unione è stato, tra gli altri, il leader libico Muhammar Gheddafi. Morto il dittatore dell’ex colonia italiana le casse dell’Organizzazione si sono prosciugate.

Già nel 2016, durante il ventisettesimo vertice dell’organizzazione tenutosi a Kigali, in Ruanda, Kagame è stato incaricato di occuparsi di una riforma di base. Già allora gli Stati erano concordi che bisogna mettere un punto finale all’assistenzialismo. Finora l’UA è finanziata in gran parte da donatori internazionali, in particolare dall’Unione Europea. Per potersi autofinanziare, i governanti africani hanno già approvato da tempo, un accordo di fondo che prevede una tassa dello 0,2 per cento sui prodotti di importazione provenienti da Paesi non africani. L’applicazione di questa norma dovrebbe produrre un’entrata di almeno un miliardo di euro già nel primo anno. Finora era stata adottata da soli dieci Stati perchè molti temono eventuali ripercussioni dei partner commerciali extra continentali e altri ritengono che tale imposta sia incompatibile con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).

Alpha Condé, presidente della Guinea e a sinistra e Paul Kagame, presidente del Ruanda e nuovo leader dell'UA a destra
Alpha Condé, presidente della Guinea e a sinistra e Paul Kagame, presidente del Ruanda e nuovo leader dell’UA a destra

Ora Kagame, grazie all’aiuto di nove esperti africani indipendenti ha stilato un nuovo rapporto, intitolato “L’ imperativo di rafforzare la nostra Unione” che è stato sottoposto ai leader africani qualche settimana prima del vertice. La critica dell’attuale presidente è molto severa: “Abbiamo un’Organizzazione  disfunzionale, i cui valori sono limitati per noi Stati membri, e gode di poca credibilità presso i nostri partner internazionali e nella quale i nostri cittadini non hanno alcuna fiducia”. Kagame denuncia inoltre: “Le nostre decisioni sono un fallimento continuo e ne consegue una crisi di non attuazione di molti progetti”. Questa critica è ovviamente riferita al finanziamento dell’Istituzione, che per tre quarti dipende da aiuti esterni. Ne consegue una capacità di gestione limitata, assenza di responsabilità nel rendimento a tutti livelli e dei metodi di lavoro inefficienti”. Nepotismo e corruzione, aggiungiamo noi.

Le proposte di Kagame e della sua equipe sono molteplici: bisogna assolutamente mettere in atto subito la tassa dello 0,2 per cento, già adottato durante lo scorso vertice, migliorare la suddivisone del lavoro tra Commissione, le comunità economiche regionali e gli Stati membri, la trasformazione del Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa (NEPAD) in agenzia di sviluppo e infine sanzionare i Paesi che non pagano le loro quote.

Ovviamente i programmi suggeriti dal nuovo presidente non hanno trovato consenso ovunque. Vedremo cosa succederà nei prossimi mesi.

Il 2018 sarà l’anno della lotta contro la corruzione. Questo flagello, presente ovunque nel continente, porta via ogni anno almeno cinquanta miliardi di dollari; soldi sottratti alla popolazione, allo sviluppo. Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’UA, ha sottolineato più volte che a questo malaffare deve essere messo un punto finale: è corrosivo per la coesione sociale e destabilizzante per l’ordine politico. “Se vinceremo questa lotta, avrà inizio la trasformazione dell’Africa” – ha evidenziato Faki Mahamat. Tra gli svariati argomenti trattati durante il suo intervento, si è soffermato anche sul grave problema che affligge il Sud Sudan e, in presenza del presidente Salva Kiir, ha fatto sapere che è arrivato il momento di sanzionare coloro che ostacolano la pace in questo Paese devastato dalla guerra civile dalla fine del 2013. L’accordo di pace siglato proprio nella sede dell’UA ad Addis Ababa lo scorso dicembre tra il governo e i ribelli è già stato violato a più riprese. (https://www.africa-express.info/2018/01/01/il-2017-lascia-lafrica-nel-caos-e-non-si-prevede-un-2018-migliore-ecco-la-situazione/)

Durante questa sessione si sarebbe dovuto parlare anche della Libia, questione sollevata dal presidente del Congo-Brazzaville, Denis Sassou Nguesso per la riduzione in schiavitù dei migranti. La discussione su questo argomento è stata rinviata perché molti leader africani hanno dovuto lasciare Addis Ababa per altri impegni. Nguesso ha ugualmente presentato il suo rapporto e ha chiesto ai suoi omologhi di rinforzare il ruolo dell’UA per quanto concerne il conflitto libico e di stabilire una linea comune sul problema migratorio.

Migranti nei centri di detenzione in Libia
Migranti in un centro di detenzione in Libia

Finora sono stati rimpatriati volontariamente quasi tredicimila africani presenti in Libia, sui settencentomila presenti attualmente in questa nostra ex colonia. Ma, è stato sottolineato, la maggior parte si trova nel Paese da ben prima del 2011 per questioni lavorative e si stima che solamente duecentomila, provenienti da trenta Stati africani, si siano recati sulle coste libiche in modo illegale, vittime della tratta dei trafficanti di esseri umani. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ritiene che molto probabilmente il trenta per cento dei migranti è disposto ad accettare il rimpatrio volontario, mentre la maggior parte vorrebbe restarvi per lavorare. Un altro trenta per cento, invece, vorrebbe raggiungere l’Europa.

Sede dell'Unione africana ad Addis Ababa, Etiopia
Sede dell’Unione africana ad Addis Ababa, Etiopia

Anche il segretario generale dell’ONU, Antonio Gueteress è intervenuto al meeting dei leader africani ad Addis Ababa, precisando che la collaborazione tra l’UA e l’ONU è solida, ma bisogna rinforzare ancora di più questa collaborazione, in particolare per quanto concerne la lotta contro la corruzione,  cooperazione sulla pace e la sicurezza, sviluppo, cambiamenti climatici e migrazione internazionale.

Pochi giorni prima dell’inizio del vertice il quotidiano francese “Le Monde” ha pubblicato un articolo che accusa la Cina di spiare l’Unione africana direttamente nella sua sede attuale, costruita, equipaggiata – compresi i sistemi informatici – e consegnata da Pechino all’organizzazione nel 2012. “Un dono dalla Cina agli amici africani”, costato ben duecento milioni di dollari. Secondo il rapporto del quotidiano francese del 26 gennaio, gli ingegneri cinesi avrebbero lasciato aperte volontariamente delle falle nel sistema informatico, permettendo, in questo modo, libero accesso a tutti contenuti sensibili riguardanti l’attività dell’Organizzazione. Ovviamente la Cina, tramite il suo diplomatico accreditato all’UA smentisce tutte le accuse, definendole “fuorvianti, ingannevoli”.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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