Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 26 gennaio
Il governo del Congo-K ha notificato due giorni fa a Bruxelles l’ordine di chiudere a la “Maison Schengen”, una sorta di consolato europeo, gestito dal Belgio per conto di diciannove Stati dell’Unione Europea e della Norvegia.
Queste misure del governo di Kinshasa sono la reazione alla decisione di Bruxelles del 10 gennaio scorso di sospendere la collaborazione bilaterale di cooperazione con il governo della Repubblica Democratica del Congo, nello specifico per quanto riguarda gli aiuti umanitari, alcuni dei quali erano gestiti direttamente dalle autorità del Paese.
Il tetto del contributo del Belgio è stato innalzato a venticinque milioni di euro, somma che doveva essere gestita dalla sua “Nouvelle agence de développement”, ENABEL, che è stata incaricata di individuare partner affidabili tra le organizzazioni non governative e di sostenere anche gli organismi della società civile congolese che operano nel settore dei diritti umani e delle libertà politiche.
Le autorità della Repubblica Democratica del Congo hanno altresì fatto sapere, in una nota all’ambasciata belga, che la sua “Nouvelle agence de développement”, ENABEL, non ha più ragione di operare nel Paese e pertanto chiede a Bruxelles di trarne le dovute conclusioni.
Secondo l’agenzia di stampa belga, Bruxelles afferma di non essere al corrente di nulla, di non aver ancora ricevuto alcuna notifica in tal senso. La nota non è né datata, né firmata, non è stata ancora autenticata dal ministero degli Esteri del Belgio.
Infatti, il ministro congolese per gli affari Esteri, Léonard She Okitundu, ha precisato di aver informato Bruxelles tramite vie diplomatiche e parla di misure progettate. Altrimenti detto: nulla di definitivo per ora.
Okitundu ha anche specificato che il Congo-K non ha bisogno del sostegno di Bruxelles e, inoltre, ha sottolineato, il cinquanta per cento del contributo viene utilizzato per pagare gli stipendi agli espatriati del Paese donatore che operano nel settore.
La rappresentanza diplomatica del regno a Kinshasa ha spiegato che la “Maison Schengen” è un centro comune degli Stati di libera circolazione per le richieste di visti, operativo dal 2010. La struttura si trova al centro di Kinshasa, gestisce le richieste per l’autorizzazione di brevi soggiorni. Tra i Paesi interessati ci sono anche Italia, Germania, Francia e Svezia. “Con la chiusura della struttura, tale compito spetterà nuovamente a breve alle relative ambasciate o consolati”, ha fatto sapere il ministero degli Esteri del Congo-K in una breve nota.
Kinshasa vorrebbe normalizzare i suoi rapporti con Bruxelles, ma è più difficile a dirsi che a farsi, specie dopo i fatti di domenica scorsa (https://www.africa-express.info/2018/01/21/continua-la-repressione-nel-congo-k-morti-feriti-arresti/). Dal 2016 nel Congo-K sono vietate tutte le manifestazioni e proprio il 10 gennaio il governo del regno belga aveva fatto sapere di dover rivedere la sua cooperazione con le autorità congolesi finchè non saranno organizzate elezioni credibili. E tramite twitter il capo della diplomazia belga, Didier Reynders, ha sottolineato di essere indignato per la repressione continua esercitata sui partecipanti a manifestazioni pacifiche. Secondo l’ONU, la marcia di domenica è costata la vita a sei persone e l’Unione Europea insiste che venga aperta un’inchiesta giudiziaria.
Anche il segretario generale dell’ONU, António Guterres, la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, in un comunicato congiunto, firmato anche dall’ambasciatore del Canada nel Congo-K e l’Organizzazione Internazionale della Francofonia hanno ugualmente accusato e condannato il regime di Joseph Kabila, presidente del Paese e al potere dal 2001, chiedendo con insistenza il rispetto delle libertà fondamentali.
Per altro poche ora fa Kabila, durante una conferenza stampa, la prima dopo sei anni, ha respinto tutte le accuse che gli sono state rivolte dalla comunità internazionale a proposito dell’eccesso di violenze con la quale le forze dell’ordine reprimono le manifestazioni pacifiche. Ha sottolineato che non è mai stato contrario a manifestazioni politiche. “Ma non se per tali proteste si intende bruciare, uccidere poliziotti, ridurre in cenere le cose”- ha aggiunto il presidente. Inoltre il presidente non si è espresso circa la data delle prossime elezioni.
Anche oggi, una manifestazione degli studenti dell’università di Kinshasa ha vissuto momenti di grande tensione. I giovani chiedevano la riammissione agli studi di tre loro colleghi, espulsi per aver partecipato ad una marcia pacifica lo scorso dicembre. Le forze dell’ordine sono intervenute e hanno disperso i giovani con l’uso di gas lacrimogeno.
Il collettivo cattolico, organizzatore delle marce pacifiche vietate, chiede che lo Stato dichiari pubblicamente che Kabila non si ripresenti alle prossime elezioni per un terzo mandato. La tornata elettorale è prevista per il 23 dicembre 2018.
La situazione nel Paese è ormai insostenibile. Secondo Abdul Aziz Thioye, direttore dell’Ufficio per i diritti umani presso la Missione dell’Organizzazione della Nazioni Unite per la Stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo, è stato registrato un netto aumento delle esecuzioni arbitrarie nel 2017. Inoltre sono state recensite ben seimilaquattrocentonovantasette violazioni dei diritti umani.
Cornelia I. Toelgyes
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@cotoelgyes