Franco Nofori
Mombasa, 25 gennaio
Due dissidenti Sud Sudanesi, l’avvocato Dong Samuel Luak, che si batteva per i diritti umani e Aggrey Idri, strenuo attivista contro il regime autocratico, sono misteriosamente scomparsi ormai da un anno da Nairobi dove si erano rifugiati per sfuggire alle persecuzioni in atto nel loro Paese d’origine. Dong Samuel aveva ricevuto ospitalità in Kenya fin dal 2013 e rischiando più volte la deportazione, benché una pronuncia dell’Alta Corte locale gli avesse conferito lo status di rifugiato.
Nel gennaio dello scorso anno i due attivisti – che anche dal Kenya continuavano la loro campagna contro il regime del presidente Salva Kiir Mayardit – sono improvvisamente scomparsi e di loro non si hanno più notizie, malgrado le ripetute richieste di informazioni avanzate da Amnesty alle autorità keniane e sud sudanesi. Si teme quindi che, grazie alla segreta collusione tra i due Paesi, i due siano stati deportati e – se ancora in vita – si trovino nelle mani dei loro aguzzini in patria.
Sino a oggi, i governi di Kenya e Sud Sudan, hanno eluso ogni domanda, dicendosi entrambi all’oscuro della sorte dei due, ma il passato del Kenya – che in fatto di protezione dei rifugiati è ben poco edificante – crea negli organismi umanitari un’acuta preoccupazione basata sul sospetto che il Kenya sia stato addirittura compiacente nel permettere ad agenti sud sudanesi di agire nel proprio territorio per catturare i due dissidenti e portarseli oltre confine, dove sono da tempo note persecuzioni, torture e anche omicidi nei confronti di molti opponenti politici. Inoltre, Amnesty International riferisce di aver ricevuto “credibili rapporti” che i due dissidenti siano stati visti il 25 ed il 26 gennaio 2017 in stato di detenzione presso la sede dell’NSS, il National Security Service di Juba, organismo governativo di sinistra fama e che il giorno successivo a questo avvistamento siano stati trasferiti in località rimasta ignota.
Che i sospetti di Amnesty nei confronti del Kenya non siano campati in aria, lo dimostrerebbero alcuni precedenti. James Gatdet Dak, portavoce di Riek Machar, leader dell’opposizione, benchè avesse ottenuto lo status di rifugiato, è stato arrestato dalla polizia del Kenya e consegnato alle autorità del Sud Sudan nel novembre 2016. Neppure si può dimenticare l’incredibile blitz condotto dalla polizia del Kenya che portò alla cattura di Abdullah Ocalan leader del PKK, partito dell’opposizione curda, frettolosamente consegnato all’ambasciatore turco, con una procedura del tutto informale, affinché fosse trasferito ad Ankara dove era stato condannato a morte per terrorismo. Si ricorderà che, prima di approdare in Kenya, Ocalan se lo erano rimpallato varie nazioni, tra cui l’Italia, tutte rifiutando l’estradizione richiesta dalla Turchia.
Il Sud Sudan, a sette anni dall’ottenuta indipendenza dal feroce governo di Karthoum, vista con favore da tutto il mondo per le continue atrocità commesse dal Sudan arabo contro gli africani del meridione, pur godendo dell’80 per cento delle risorse petrolifere rimaste nel suo territorio a seguito del tracciato dei nuovi confini, non conosce pace e si abbandona a massacri non molto diversi da quelli che subiva dal regime di Al Bashir prima dell’indipendenza. Si stima che, dal 2013 a oggi vi siano già stati oltre 50 mila morti a causa dei continui e violenti scontri tra i seguaci del presidente Sala Kiir, di etnia dinka e il suo opponente Riek Machar di etnia nuer. AVA, Africa wins again, scrive Wilbur Smith nei suoi romanzi (l’Africa vince ancora). E’ questa amara considerazione fa capire come l’Africa, pur se cambiano le coordinate geografiche, mostri ovunque la stessa patologia, votata alla distruzione e al massacro.
Franco Nofori
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