Dal nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 16 gennaio 2018
“Lapsset” è un acronimo che sta per “Lamu Port-South Sudan & Ethiopia Transport Corridor”. Il progetto si compone di strade, ferrovie e varie infrastrutture che, partendo da Lamu e diramandosi in due direttrici, dall’area centrale del Kenya, raggiungerà – una volta completato – la capitale etiopica, Addis Abeba, e quella del Sud Sudan, Juba. Il governo del Kenya ha affidato la realizzazione dell’opera a cinque aziende, tra cui, una statunitense e l’altra Sudafricana, ma anche in questo caso, la parte del leone, con il maggior numero di appalti, se l’è aggiudicata la Cina, l’ormai onnipresente partner in quasi tutti i progetti di sviluppo del continente nero.
La prima parte del progetto, quella che riguarda la messa in opera del porto di Lamu, all’estremo nord della regione costiera, è in avanzata fase di realizzazione e si prevede sarà completata entro l’anno in corso a un costo che sfiora i venti milioni di euro, mentre, per la totale ultimazione del progetto, verso i due paesi confinanti, si parla di oltre 25 miliardi di euro. Una cifra imponente che non è ancora chiaro dove e come sarà reperita. Quando l’opera sarà completata, il porto di Lamu, forte di ben dieci ormeggi per porta container e di tre bulk carrier – gigantesche navi da trasporto che raggiungono una capacità di carico fino a 80 mila tonnellate – diverrà il più importante scalo commerciale di tutta l’Africa.
Successivamente, è previsto che il progetto “Lapsset” si integri con quello della “Great Equatorial land bridge” – sempre a gestione cinese – realizzando così, entro i prossimi 15 anni, una gigantesca rete di trasporti e di infrastrutture che, oltre a Sud Sudan ed Etiopia, attraverserà la Repubblica centrafricana, raggiungendo anche la costa atlantica a Duala, in Camerun. Questa ambiziosa realizzazione, comprenderà, ferrovie; superstrade; aeroporti; reti idriche ed elettriche; acquedotti e oleodotti; conduttori di fibre ottiche; strutture di supporto al turismo.
Tutto questo favorirà certamente gli interscambi tra i paesi africani, rendendo più agevoli gli spostamenti attraverso il continente, oggi gravemente afflitto proprio da una cronica carenza delle vie di comunicazione. Non tutto, però, sarà così facile come appare. Le infrastrutture progettate, attraverseranno aree quasi vergini, creando un’inevitabile devastazione di terreni dediti all’agricoltura e alla pastorizia. Le tribù nomadi a nord del Kenya – samburu, pokot, turkana e altri – già da sempre in lotta tra loro per accaparrarsi pascoli verdi, come reagiranno all’esproprio, quando già la popolazione indigena rumoreggia sempre più risentita a fronte del massiccio land grabbing (appropriazione di terreni) che le imprese cinesi stanno attuando grazie alla compiacenza dei governi africani?
Dopo un primo momento di esaltazione, per l’ammodernamento dei propri Paesi, grazie all’intervento cinese, la presenza di questo nuovo partner, oggi non appare più così gradita come all’inizio. L’eccessiva parsimonia con cui i cinesi presenti in Africa spendono il loro denaro, acquistando poco o quasi nulla localmente, ma portandosi tutto da casa, e alcuni atteggiamenti discriminatori emersi nei confronti dei lavoranti africani, stanno facendo montare risentimenti e tensioni. Alcuni media locali, nei giorni scorsi, hanno diffuso una notizia – peraltro prontamente smentita dalla dirigenza cinese – che nelle strutture di servizio lungo la ferrovia del Kenya, vi erano bagni riservati ai cinesi, non accessibili agli africani. Vera o non vera, questa notizia è comunque il segnale di una crescente insofferenza che l’Africa mostra verso quelli che sono ormai visti come nuovi colonizzatori.
Il nuovo porto di Lamu, offrirà così lo sbocco al mare a Sud Sudan ed Etiopia, ma anche l’Uganda potrà avvalersi del terminale petrolifero di Lamu per esportare il greggio recentemente scoperto nel lago Alberto. Inoltre, l’attuale presenza di truppe keniane in Somalia, con lo scopo ufficiale di contrastare l’attività del movimento terroristico di Al-Shebab, potrebbe nascondere – secondo alcuni osservatori – il progetto del Kenya di acquisire il controllo del Corno d’Africa, impossessandosi così non solo del petrolio somalo, ma anche dei suoi porti che gestiscono una parte del traffico navale dell’oceano Indiano. Questo consentirebbe al Kenya di diventare una potenza regionale di rilievo. Un’ipotesi che può appare piuttosto improbabile. Il Kenya non ha né forze, né mezzi, né sufficienti capacità strategiche per dare attuazione ad un simile progetto, ma si sa che spesso le velleità di conquista dei regimi – di fatto autocratici, pur se paludati a democrazia – risulta irresistibile.
Franco Nofori
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