Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 11 gennaio 2018
La situazione nel Corno d’Africa si fa sempre più tesa e intricata e l’Unione Africana, preoccupata, ha invitato il Sudan e l’Eritrea a risolvere le attuali tensioni in modo pacifico.
Il mese scorso Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, ha visitato il Sudan. Un avvenimento storico, è la prima volta che un presidente turco visita l’ex condominio agloegiziana dopo la sua indipendenza nel 1956. Durante i colloqui tra Erdogan e Omar al-Bashir, presidente del Sudan, i due leader hanno sigillato diversi trattati di carattere commerciale e militare. Tra questi la temporanea cessione da parte di Khartoum ad Ankara di Suakin, porto sul Mar Rosso, perché Erdogan vorrebbe per ricostruire le rovine di questa antica città ottomana per incrementare il turismo. Si mormora che il porto, una volta ristrutturato, potrebbe servire non solo per navi commerciali, ma anche come punto di appoggio per quelle militari. Il più importante porto sudanese è attualmente Port Sudan, che dista solo una sessantina di chilometri a nord di Suakin. Secondo Erdogan, uno scalo laggiù potrebbe servire anche ai pellegrini diretti a La Mecca.
L’Egitto e i sauditi avevano fortemente criticato i nuovi accordi, in particolare quello relativo a Suakin, visto che Ankara aveva già inaugurato i primi di ottobre la più grande base militare straniera nella capitale della Somalia, rafforzando così la sua presenza nel Corno d’Africa.
I rapporti tra Egitto e Sudan si sono incrinati dopo la salita al potere di Abdel Fatah el-Sisi, che aveva spodestato Mohammed Morsi dei Fratelli Musulmani, e dichiarato la Fratellanza un’organizzazione terrorista. Dunque oggi troviamo due fronti: Turchia, Sudan, Qatar e Hamas che sostengono questa organizzazione; mentre dal lato opposto vediamo Egitto, Arabia saudita, gli Emirati Arabi Uniti e Bahrein.
Ormai sono in molti a temere la forte presenza turca in quest’area dell’Africa e, chissà, forse è uno dei motivi perché l’Egitto ha inviato centinaia di militari in una base degli Emirati Arabi Uniti in Eritrea.
Dal canto suo Khartoum ha richiamato per consultazioni il proprio ambasciatore al Cairo, Abdel-Mahmood Abdel Halim, dopo i colloqui tra il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry e il suo omologo etiopico, Workneh Gebeyehu, nella capitale della nostra ex colonia: due hanno parlato della diga sul Nilo Azzurro. Il Grand Ethiopian Renaissance Dam, è in costruzione e vede coinvolti tre Stati: Egitto, Sudan e Etiopia. Durante l’ultimo incontro ad Addis Ababa, Shoukry aveva proposto di includere la Banca Mondiale nella discussione. A fine dicembre un quotidiano etiopico aveva riportato che il ministro degli esteri egiziano avrebbe suggerito di escludere il Sudan dai colloqui tecnici. Ma martedì, 2 gennaio, il ministero degli Esteri egiziano aveva negato che Shoukry si sarebbe espresso in questi termini. La vera ragione è certamente la forte alleanza che si è creata tra Sudan e Turchia e l’Egitto accusa Ankara e Sudan di voler destabilizzare il presiente egiziano el-Sisi e il suo governo.
Proprio alla fine dell’anno le truppe sudanesi liberano ben novantacinque profughi, vittime dei trafficanti di esseri umani a Kassala, in prossimità del confine con l’Eritrea. La nazionalità delle persone liberate non è stata resa nota e non è stato comunicato dove siano state portate. Lo stesso giorno, il 31 dicembre, al-Bashir dichiara lo stato di emergenza per sei mesi negli Stati di Kassala e North Kordofan. Qualche giorno dopo, ufficialmente per ragioni di sicurezza, Khartoum chiude le frontiere con l’Eritrea e dispiega migliaia di milizie paramilitari delle Rapid Support Forces, nome ufficiale dei janjaweed, diventati famosi per le atrocità commesse in Darfur. Il loro nome janjaweed è un termine creato ad hoc e vuol dire più o meno diavoli a cavallo che bruciano i villaggi, stuprano le donne, uccidono gli uomini e rapiscono i bambini per renderli schiavi. Oggi questi criminali sono utilizzati da al-Bashir per respingere il flusso migratorio verso la Libia, grazie ad accordi firmati con l’Unione Europea. https://www.africa-express.info/2016/09/05/sudan-nella-guerra-contro-i-migranti-litalia-finanzia-e-aiuta-i-janjaweed/ e https://www.africa-express.info/2017/11/02/sudan-per-bloccare-migranti-leuropa-continua-finanziare-criminali-janjaweed/.
Tali misure potrebbero senz’altro essere una risposta all’arrivo in Eritrea, nella base degli Emirati Arabi, dell’imponente spiegamento di forze egiziane, dotate delle più moderne tecnologie e di veicoli blindati. Alcuni media hanno riportato che il governo del Cairo avrebbe fatto sapere a Somalia e Gibuti di voler stabilire una base in Eritrea per venti- trentamila uomini. Il 4 gennaio, giorno dell’arrivo dei militari egiziani nella nostra ex colonia, si è tenuto un vertice tra UEA, Egitto e i rappresentanti dei gruppi ribelli nel Darfur e nell’est Sudan. C’è chi afferma che truppe egiziane si trovino invece a Sawa, il campo di addestramento eritreo in prossimità del confine con il Sudan. Yemane G. Meskel, ministro dell’informazione di Asmara e portavoce di Isaias Afeworki, il presidente eritreo, nega la presenza di truppe egiziana nel Paese, come dichiara in un tweet il 5 gennaio scorso.
Da alcune fonti si apprende che anche la situazione interna in Eritrea è molto tesa. Ma nel Paese non esiste una stampa libera, ed è vietato l’ingresso ai giornalisti stranieri, gli unici che potrebbero raccontare la verità e spiegare lo stato dei fatti attuali.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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